Un dialogo attraverso la ceramica


Hou Hanru



La Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, che si svolge nella “remota” cittadina di Albisola, sulla Riviera Ligure di Ponente, in Italia, punta la sua attenzione su un aspetto quasi invisibile della storia dell’arte moderna, attraverso il richiamo al ruolo svolto da questa piccola città nel lavoro di un buon numero di maestri del moderno.
I curatori hanno invitato un gruppo di artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo a recarsi a lavorare in tale cittadina. Il loro compito non era da poco poiché questi artisti, appartenenti ad ambienti culturali differenti e usando mezzi e linguaggi eterogenei, sono stati invitati a concentrarsi, come i loro predecessori, sull’utilizzo della ceramica, prodotto caratteristico del luogo, per farne il mezzo primario del lavoro da realizzare ad Albisola. Gli artisti, così, hanno collaborato con i ceramisti locali e ciò ha dato vita in modo naturale a un dialogo coerente, continuo ed efficace tra gli “stranieri” e la comunità locale, tra globale e locale, una questione vitale che nell’epoca della Globalizzazione bisogna affrontare quotidianamente.
La cosa più interessante è che questo dialogo si è rivelato e ha preso corpo per mezzo di un materiale fondamentalmente “tradizionale”, la ceramica, la cui materialità, produzione e forma possono essere facilmente considerate qualcosa di artigianale, legato a un’abilità manuale. La ceramica, però, appartiene a un genere antico di poesia che da tempo è stato sistematicamente escluso dall’ideologia e dall’estetica dominanti nell’arte contemporanea. Tuttavia, è interessante che la ceramica ritorni con regolarità sulla scena, incorporata da numerosi artisti nel loro lavoro, anche se di rado essa ne è un elemento centrale. Artisti come Lucio Fontana la conoscevano bene. Nei sui Concetti Spaziali Fontana non soltanto ha esplorato le possibilità di utilizzo della ceramica come materiale, ma, in modo più essenziale, ha trasformato questa materia in una metafora dell’Universo, creando un microcosmo sensuale estremamente concreto, una specie di panorama entropico, un buco nero sospeso tra la gioia dell’energia erotica, la nascita della vita e il destino del mondo. Per manifestare un tale processo dinamico, sublime e potentemente vitale, la ceramica è senza dubbio il materiale ideale. Fontana ha usato il movimento manipolatorio dell’argilla per articolare il contrasto tra la morbidezza e la fluidità del gesto e la brillantezza e la durezza della forma finale. Allo stesso tempo, questo ha creato un gioco intenso tra pieno e cavo, tra solido e vuoto: una rappresentazione perfetta dello Spazio — un vero Concetto Spaziale.
Fontana ha dimostrato l’intensa espressività della ceramica come linguaggio per l’arte, rivelandone anche le potenzialità in quanto forma di rappresentazione della storia e della cultura. La sua opera ci porta a guardare più lontano, nelle implicazioni storiche della stessa ceramica. Nelle ricerche archeologiche e storiche i prodotti ceramici sono sempre stati considerati testimonianze importanti delle diverse epoche della storia, poiché essi non indicano soltanto dei periodi artistici, ma condensano in sé anche i processi relativi alle trasformazioni economiche, politiche e sociali, inclusa, naturalmente, l’evoluzione dei movimenti, degli scambi e delle contrattazioni su scala globale che hanno dato forma al nostro mondo di oggi. In inglese, lingua che rappresenta l’Occidente, il mio paese si dice “China”, così come si chiama “china” la porcellana, “sorella” della ceramica. La relazione è diretta ed evidente: la Cina è il luogo d’origine della fabbricazione della porcellana. La “via della porcellana” ha avuto la stessa importanza della “via della seta” nella storia dei commerci tra Oriente e Occidente, anche se è meno nota. Nel momento culminante del colonialismo europeo, tra il XVII e il XVIII secolo, la porcellana, prodotto estremamente esotico e di lusso, venne considerata un segno di  ricchezza e di potere e gli imperi europei ne intensificarono l’espansione di mercato, poiché la Cina faceva parte del progetto colonialista dell’economia globale. Così, i suoi prodotti culturali “misteriosi” e ricchi non soltanto diventarono accessibili, ma si trasformarono in simboli dei codici sociali. I motivi e le forme alla cinese, o le cineserie, diventarono di moda al punto di giocare un ruolo importante nella formazione di un preciso periodo della storia dell’arte e della cultura dell’Europa occidentale, il rococo. E’ a tutti evidente che si tratta di un esempio significativo del modo in cui i poteri coloniali hanno conquistato i paesi non occidentali, appropriandosi dell’Altro e dandogli un nome secondo il linguaggio e i discorsi dell’Occidente.
Il commercio globale e l’espansione del mercato stanno ora toccando punte senza precedenti. Ironia del caso, oggi in Cina per un imprenditore o per un artista arricchito, arrivati a fare parte di una nuova classe sociale benestante nata grazie alla globalizzazione post e neo coloniale, uno degli oggetti più alla moda da possedere come simbolo della propria raggiunta modernizzazione è un gabinetto in ceramica fabbricato in Italia!
Fra l’altro, quasi un secolo fa, nel 1917, Marcel Duchamp creò il feticcio più antifeticista firmando R. Mutt un orinatoio in ceramica e mandandolo a una mostra in un museo. In questo modo, a partire da materiale ceramico, Duchamp diede l’avvio all’“arte contemporanea”. Da allora, molti artisti hanno deciso di rivolgersi contro questo oggetto in ceramica, come manifesto antistorico. L’8 ottobre 1992 l’artista cinese Wu Shanzhuan arrivò al punto di fare pipì in uno degli orinatoi a edizione limitata di Duchamp conservato nella collezione del Moderna Museet di Stoccolma, uno dei feudi di questo genere di “arte contemporanea”.
Un dialogo tra diverse parti del mondo prende qui corpo per mezzo della ceramica.