“Vorrei essere un vaso”
Giacinto Di Pietrantonio
Per iniziare, la domanda è: perché un vaso di fiori? E ancora: perché del vaso si sono occupati non solo gli artigiani che lo fanno, ma anche religiosi, antropologi, etnografi, filosofi, designer e artisti … ? E perché Alessandro Mendini ad esempio, dice che: "... Se vivrò un'altra volta ... Vorrei essere un vaso... Il vaso è un contenitore di pensieri, disegnare un vaso vuol dire disegnare un pensiero. Il vaso è di terra, anche noi siamo di terra. Il vaso è un oggetto ancestrale. Viene fabbricato con il tornio, uno dei più antichi strumenti. Deriva dalla forma di un fiore e dalle mani congiunte. La folla dei vasi che popola la storia dei vasi è un traslato della storia degli uomini.". A proposito della folla di vasi, Mendini agli inizi degli anni novanta realizza l’opera collettiva dei diecimila vasi-urna su cui fa intervenire cento artisti contemporanei in un’idea di fabbrica estetica (produzione Alessi) e di “uomo decorativo” che estende ulteriormente nella Biennale della Ceramica di Albisola producendo un vaso formato da sfere che si compenetrano moltiplicandosi - nei colori dell'oro, del platino, del bronzo e del nero lustro -, ispirandosi alle bolle di sapone attaccate l’un l’altra, a riprova della nostra fragilità.
Ulteriori risposte alle domande di cui sopra le troviamo ad esempio nel pensiero del filosofo tedesco Georg Simmel che scrive dell’ansa del vaso e definisce il vaso come un oggetto aperto e quindi in continuità con il mondo a differenza del quadro che sarebbe un sistema chiuso. Il vaso, quindi, è al tempo stesso reale e simbolico, sia vuoto che pieno. Il vaso è produttore di mitografia, come apprendiamo da “Le opere e i giorni” di Esiodo che ci racconta del Vaso di Pandora, leggendario contenitore di tutti i mali, ma che nel fondo contiene anche la speranza. Per cui ci sono vasi chiusi e vasi aperti come quello dei Vedovamazzei che propongono un vaso il cui corpo è trapassato diagonalmente da un fiore, perché vedono nel vaso un oggetto d’amore, un bersaglio di Cupido che invece di essere trafitto da una freccia lo è da un fiore - un oggetto come metafora della vita. Ancora fra i contenitori, anche la cornucopia della Dea Fortuna è una sorta di vaso che dispensa, non tutti i mali, bensì tutti i beni del mondo. Bene queste e altre storie e miti, questi ed altri usi che ci dicono che il vaso è sì un contenitore, ma un contenitore del mondo essendo impiegato per la vita e per la morte come il vaso-utero di cui parla Gaston Bachelard, collocandolo a metà strada tra il digestivo e il sessuale, contenitore di liquido nutritivo e di elisir dell’eterna giovinezza. Vi è, però, anche il suo rovescio nell’essere urna cineraria e canopo e anche nel fatto che in tutte le tombe sono stati trovati dei vasi contenenti beni alimentari, cosmetici, sacrali, per essere utilizzati dal morto al suo risveglio in una altra vita e in un altro luogo. Per cui il vaso, tramite reale e simbolico tra l’aldiquà e l’aldilà doveva per questo avere tutte le attenzioni di cui sopra ed essere un elemento centrale della civiltà.
Alberto Garutti da tempo insegue un progetto artistico per chi non c’è, visibile solo nelle sale buie del museo, quando gli spettatori sono andati via: sedie, tavoli, quadri e in questo caso i vasi si illuminano, perché dipinti di una speciale vernice fosforescente. Qui si tratta di vasi che Garutti ha ripreso dalla tradizione ceramica locale - oggetti in stile come le giare, le tulipaniere e i vasi con mascheroni che“riattualizza” facendone fantasmi, perché trattati con il silicato di zinco, il bianco fosforescente visibile solo al buio. Vasi sacrali.
Difatti, non c’è cultura che non possegga e produca vasi e che attraverso di essi non ci dia informazioni sui popoli stessi. Ciò per sottolineare ancora una volta come il vaso sia un tramite tra il reale e il simbolico, tra la forma che segue la funzione e la forma che segue la comunicazione. Per cui i vasi di Simone Berti, sono strane macchine, memorie dell’archeologia industriale contemporanea, come è possibile vedere nelle quattro grandi sculture dedicate ai vasi da fiori, in terracotta, lastre di alluminio e polvere di marmo. I vasi-scultura di Berti sembrano appartenere ad un futuro in cui il vaso diventa un monumento alla modernità meccanica fatta di tubi, bulloni e in cui la natura è sopravanzata dalla tecnica e i fiori sono appesi a un filo, il filo dell’esistenza.
In questo continuo diventare scultura e opera, vi è il destino del vaso che se dovesse servire, ad esempio, a contenere esclusivamente un liquido o delle sementi basterebbe che il vasaio modellasse l’argilla nella forma di un concavo-convesso; invece da sempre il vasaio ha sentito la necessità di incidere o dipingere dei segni sul vaso, per comunicare altro, e spesso anche di firmarlo - pensiamo al vaso di Eufronio nella Grecia del VI secolo a. c. Insomma, il vaso si rivela fin dall’inizio un modello di relazione tra struttura e sovrastruttura, tra economia del quotidiano ed economia del simbolico. Che il vaso sia cosa speciale lo notiamo anche dal fatto che esso è quasi sempre collocato al centro della tavola o della credenza – quando è un vaso da fiori -, o su un altare; insomma il vaso è per natura un oggetto esibizionista, un protagonista del luogo domestico o del luogo abitato in generale, quotidiano o rituale che sia. In questo senso Corrado Levi progetta dei vasi ispirati ai Flowers di Andy Warhol che si presentano a forma di fiore, come per evidenziare il concetto di aderenza tra forma e funzione. Qui al vaso per i fiori è dedicata una scultura che guarda al noto concetto zen dell’essere o dell’avere, nel senso che è meglio non recidere i fiori per metterli in un vaso - per avere -, ma lasciarli vivere nel prato - per essere.
Il vaso è un micromondo della natura, ma per l’arte è anche un punto di passaggio, un nodo per la pittura classica, come deduciamo dal fatto che parliamo di “pittura vascolare greca”, essendo soprattutto interessati alle immagini e quindi alle storie che questi veicolano. In questo tramite tra pittura e natura sta la relazione tra antico e moderno e il fatto che diversi artisti abbiano dipinto vasi di fiori creando delle icone, come Caravaggio o van Gogh, o facendone un’ossessione come Giorgio Morandi che ha dipinto per tutta la vita vasi con o senza fiori. A questa tradizione millenaria Michelangelo Pistoletto rende omaggio con una grande opera in ceramica fatta di sessanta vasi specchianti al platino, collocati secondo la forma-segno dell’infinito pistolettiano, una folla di vasi che si moltiplicano nel riflettersi l’un l’altro, producendo così un’immagine-metafora di tutti i vasi della storia dell’umanità unica e differente al tempo stesso. E’ una forma delle forme che disgrega anche il Nuovo Segno d'Infinito del suo Terzo Paradiso, perché la cultura della differenza o di Love difference fa anche della distruzione un atto di creazione del mondo.