L’uomo del buonumore: su “Ice Cream Social”
Hans-Ulrich Obrist
Robbins è diventato famoso a metà degli anni Ottanta, grazie a una serie di opere concettuali nelle quali l’ambiente artistico newyorkese era utilizzato umoristicamente. Il successo gli valse molte partecipazioni a mostre in Europa. Abbandonato così l’ambiente di New York, che dà troppa importanza alla produzione di oggetti, Robbins ha potuto dedicarsi ad altre attività, come la scrittura e il teatro, re-inventando la sua prassi, creando alternative ai “rituali artistici” esistenti.
Ice Cream Social è il progetto che meglio caratterizza la “seconda vita” artistica di Robbins. Il progetto è stato avviato nel 1993, con un evento dal vivo nato, in modo abbastanza inverosimile, dal desiderio di realizzare un quadro a pallini e da una domanda: “Come si può esporre un quadro astratto ‘programmando’ l’evento in modo che susciti letture diverse da quelle riservate tradizionalmente all’arte astratta?”. Come intuisce Mark Baskin, l’alter ego di Robbins nel suo racconto Ice Cream Social (1998), “Il quadro dovrebbe riferirsi a qualcosa di pubblico e non di privato, che non sia nell’interiorità delle persone, ma fra le persone”. E ancora: “La ‘programmazione’ funzionerebbe se il quadro fosse presentato in uno spazio estraneo ai normali circuiti dell’arte, poiché l’esperienza del quadro, e ogni successivo incontro, sarebbero legati al ricordo del contesto nuovo e ‘inappropriato’”. Perciò Robbins decise che il luogo più “logico” per esporre era una gelateria Baskin-Robbins e che il quadro più “appropriato” non poteva che essere rosa a pallini marroni, come il motivo decorativo ufficiale della ditta.
Robbins diede una festa, con gelato, rinfreschi e qualche decina di invitati e mentre le persone socializzavano, recitò una poesia sulle riunioni. L’evento è stato da lui descritto successivamente nel racconto pubblicato dalla Purple Books di Parigi in collaborazione con Feature Inc., la sua galleria di New York, e da allora il libro è stato la base per nuovi Ice Cream Socials a Chicago, Londra e Des Moines, dove l’evento richiamò più di ottocento persone. Queste ultime concretizzazioni del progetto, anche se realizzate da persone assunte allo scopo, insieme con invitati veri e propri, non si sono mai svolte secondo un copione rigido, ma sono rimaste delle feste. Per Robbins, gli Ice Cream Socials non vanno intesi come opere concettuali, ma come tentativi di superare le categorie esistenti nell’attività culturale.
Nella storia decennale di Ice Cream Social, Robbins ha promosso il suo obiettivo di operare all’interno della cultura dell’intrattenimento estendendo i “comportamenti del contesto artistico” e la sperimentazione all’ambito della cultura di massa e, di recente, si è spinto ancora più in là, scrivendo un soggetto per la televisione.
Gli intenti e i metodi di Robbins lo hanno reso un importante punto di riferimento per gli artisti delle generazioni successive. Il processo di produzione di Ice Cream Social – dal primo quadro a pallini con evento dal vivo al racconto, dalla serie televisiva e alla sceneggiatura cinematografica – è in sintonia con altri progetti come Cremaster Cycle di Matthew Barney o AnnLee di Philippe Parreno e Pierre Huyghe, perché tutti quanti indicano forme di esposizione d’arte nuove. Questi artisti resistono alla tradizionale struttura temporale dell’esposizione promuovendo progetti in progress, oscillando tra processo, oggetto, struttura e scambio, con l’obiettivo di un’arte più varia, un contesto più ampio e un ciclo di vita autonomo.
Testo pubblicato nel catalogo della III Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea “Indisciplinata”, Attese, Albisola (Italia), 2006. Courtsey Artforum, New York.