Keramos e Melos (Ceramica e musica)


Mauro Castellano



Perché musica e ceramica? Dal 1950 in poi avviene una confusione tra i confini delle varie arti voluta dagli artisti stessi. È interessante richiamare un brano fondamentale di John Cage, scritto nel 1952 e sempre erroneamente citato come Silence. Il suo titolo invece è 4’33” (Quattro minuti primi e trentatré secondi) e indica la durata nel tempo. Se si ricordano le tastiere delle vecchie macchine per scrivere, sotto il 4 è indicato l’apostrofo e sotto il 3 le due virgolette Per questo casuale motivo, Cage ha scelto questa durata. Il brano è diviso in tre movimenti e impone al pianista di restare in silenzio per 4’33”, mentre il pubblico ascolta ciò che accade intorno. Da quel momento, la musica diventa ciò che decidiamo che sia, non più una struttura con un inizio, uno sviluppo e una coda, beethovenianamente parlando. L’evoluzione della musica nel ’900, ha determinato l’emergere di tecniche innovative che hanno fatto sì che sulla pagina scritta si esprimessero segni nuovi. Questo accade anzitutto perché le tecniche strumentali conoscono un’accelerazione enorme e necessitano di nuovi caratteri per fissare eventi che prima non era possibile immaginare. Uno per tutti, il fatto che il pianoforte non si suoni più soltanto sui tasti, ma intervenendo all’interno delle corde, percuotendolo in tutte le sue componenti. Essendo queste tecniche ancora in via di perfezionamento, lasciano una grande responsabilità all’interprete, continuamente chiamato a integrare una scrittura che spesso non può essere precisata come avviene nel repertorio normalmente eseguito. Vi sono addirittura pagine che vengono liberamente disegnate e poste all’interprete come un esercizio ermeneutico. A questo punto, si può suonare qualsiasi cosa: una cartolina, un’immagine... Ma come? Occorre inventare un codice di lettura. Si decide che a un certo tipo di segno corrisponde un certo tipo di suono, ogni volta che quel segno ritorna, va eseguito proprio quello stesso tipo di suono. È da qui che può nascere una scommessa come Musica e ceramica, ed è da qui che è nata una parentela che va avanti ormai da più di mezzo secolo tra le arti visive e la musica. Tra l’altro, mi è accaduto di eseguire repertori contemporanei più frequentemente, o con un esito di pubblico più felice, nelle gallerie d’arte che non nei teatri di tradizione. E questo anche per motivi di carattere sociologico, perché a teatro non “sta bene” che un pianista in frac entri nello strumento, oppure si metta sotto al pianoforte e, con il tacco di una scarpa, lo percuota dal fondo della cassa armonica... Tutte queste azioni corrispondono comunque a sonorità ben precise, che non si sarebbero potute produrre altrimenti. La scommessa di Leonardo Gensini e mia è creare suoni in un modo molto preciso. Scriveremo una partitura musicale in senso proprio, che lascerà spazio anche a interventi estemporanei, per i quali coinvolgeremo gli allievi della Scuola di Musica di Savona. Cercheremo il più possibile di mettere i suoni entro una cornice, come tutte le cose d’arte. Per quanto mi riguarda sarà presente un pianoforte e scommetterò con il repertorio musicale e la letteratura evocata da questo strumento così apparentemente ottocentesco. Pensando però che è anche uno strumento fatto di legno, di ghisa, di acciaio — dunque uno strumento a percussione — realizzeremo un lavoro basato sull’amplificazione, che cercherà di mettere in relazione il pianoforte stesso con gli “strumenti” ceramici che Gensini ha realizzato ad Albisola. Lascio molti punti interrogativi e vi invito ad ascoltarci.



Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona