Carmine Deganello

Carmine Deganello, Valveola

Carmine Deganello, Valveola

Valveola è una lampada in ceramica a sospensione, mutevole nella forma, regolabile in altezza e per fascio di luce. Nasce dal desiderio di pensare l’oggetto ceramico come un manufatto sospeso, leggero e, soprattutto, in grado di costruire una relazione quotidiana con chi lo usa. Ruotando infatti le due scocche riflettenti (collegate tra di loro grazie a una piccola calamita), si può regolare il fascio di luce e farle diventare due valve, quasi chiuse o aperte come due petali. Valveola si muove quindi nello spazio della stanza che la accoglie, cambia aspetto, si apre e si chiude in se stessa, disegnando con la luce il proprio ambiente.

Carmine Deganello

Paolo Deganello

Paolo Deganello, Geko  1

Paolo Deganello, Geko  2

La forma della lampada è sempre stata per lo più geometrica: una sfera sospesa di vetro opalino che contiene una lampadina, una semisfera riflettente in alluminio verniciato o un’asta che parte dal centro di una base quadrata per sostenere una lampadina con una schermatura troncoconica in policarbonato opalino.
Ai minimalisti di oggi, come ai razionalisti e agli illuministi di ieri, piace l’affermazione di Galileo: “l’universo è scritto in lingua matematica e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche”. Così, rispettando le regole dell’universo, riducono tutto l’artificiale a figure geometriche, perché la bellezza sembra stare nella silenziosa perfezione di quell’assoluto. Io preferisco cercare forme che utilizzino la logica di costruzione di madre natura. Mi sembra più interessante capire come un seme si trasformi assumendo la forma di un albero piuttosto che rileggere il percorso che trasforma il ferro, contenuto in una pietra ferrosa, in un profilato metallico…
Ho preso la pancia di un geco (Tarentula Mauritanica), animale che si ciba di zanzare e mosche intontite dalla luce elettrica. Gli ho messo su per la coda un filo elettrico che porta corrente a una lampadina a luce fredda – a scarso consumo energetico – posta sopra la sua pancia e incisa con una lingua arancione, per dare una riflessione calda alla luce fredda. Per schermare la luce, l’ho protetta con un foglio strappato di policarbonato della Bayer, perché sembri un’ala e perché ci sono gechi che sanno volare.
Geko, mutazione genetica di un filo elettrico in una lampada di ceramica che vola, produce luce calda e per di più vola. Ne ho realizzate due versioni – una decorata con la pelle della Tarentula, l’altra con ornamenti bianco blu di Albisola – ma ne vorrei fare altre.

Paolo Deganello

Amie Dicke

Amie Dicke, Sugar Memory  1

Amie Dicke, Sugar Memory  2

Per lungo tempo, mi sono concentrata sulla possibilità di riprodurre e rimodellare una serie di sculture realizzate poco prima di diplomarmi alla scuola d’arte, nel 2000. In quel periodo, avevo cominciato ad analizzare il ruolo delle donne nella vita quotidiana e le modalità della percezione di sé in rapporto al proprio modo di apparire in pubblico. Mentre cercavo di posizionarmi sia come artista che come donna, osservavo le altre donne. Ero alla ricerca di uno stile personale, un atteggiamento unico, un contegno, e tentavo di forgiarmene uno in modo letterale, studiando le posizioni e le forme del corpo femminile.
Mentre indugiavo sulla soglia della mia carriera artistica, presi la decisione di utilizzare il mio corpo per esprimere questa mia ricerca di una posizione rilevante. Così, come con una statua, feci uno stampo delle mie gambe dal cavallo al piede, con del marzapane ricoperto di glassa, una sostanza morbida che riproduceva al negativo le curve del mio corpo. Le sculture furono modellate e levigate e vennero fuori due colonne coniche di zucchero, una larga, l’altra stretta. Quest’ultima era rivestita da uno strato spesso di glassa rosa, mentre quella larga stava a gambe larghe, crogiolandosi nella sostanza zuccherina dalle trasparenze del miele che le scivolava giù per le cosce. Le due sculture sono intitolate Com’è dolce lo spazio fra le mie gambe.
Le sculture si dimostrarono molto più fragili di quanto mi aspettassi. Il fornaio che mi aveva aiutato nella preparazione di questo progetto mi aveva assicurato che sarebbero durate parecchi anni, ma appena furono terminate, la superficie di marzapane cominciò a sfaldarsi e a sbriciolarsi.
Ripensare a quelle sculture di zucchero, così incontrollabili e mutevoli, mi ha fatto capire che volevo realizzarle di nuovo, questa volta, però, in modo da conservare tutta la bellezza dell’immagine “fresca”.
Cosa accadrà quando avrò realizzato di nuovo quelle sculture con un materiale più resistente? Non potranno più sbriciolarsi, come quando erano di marzapane e di zucchero, la nuova tensione ora è che si possano rompere: la fragilità è rimasta, ma non sono più dolci. Devo accingermi a questo progetto con un nuovo approccio. Il mio scopo è di perfezionare la rappresentazione dello “spazio fra le gambe”.

Amie Dicke

Florence Doléac

Florence Doléac, Patate, urne funérarie familiale

Patate rappresenta l’urna funeraria di una famiglia o meglio è un transfert delle sovrapposizioni che si creano nelle tombe di famiglia. Nei cimiteri si usa ricomporre le famiglie defunte all’interno di piccole costruzioni, quasi fossero case.
Qui, il gruppo dei defunti forma una grossa patata germogliata. Ciascun germoglio rappresenta un componente della famiglia. L’insieme è un oggetto curioso che si può collocare per terra al centro della casa.
Questo oggetto sdrammatizza il linguaggio del lutto in un’allegoria leggera, ma fortemente simbolica.
I germogli, figli del medesimo ceppo, di solito tendono al cielo poiché sono attirati dalla luce.
I nomi saranno incisi su ciascun germoglio.

Florence Doléac

Liam Gillick

Liam Gillick, Multiple Revision Structure

Liam Gillick, Multiple Revision Structure

Liam Gillick, Multiple Revision Structure

Una sequenza di forme semplici in ceramica lucida. Ciascun elemento va combinato con almeno un altro elemento. I colori possono essere gli stessi o mescolati. L’opera è sia funzionale, sia estetica. Si può adoperare per tutte le situazioni in cui è utile un vassoio. Può anche essere esposta o mescolata con piccole opere di altri artisti. È difficile realizzare questa forma semplice, tuttavia il suo posto nel mondo passerà abbastanza inosservato.

Liam Gillick

Stefano Giovannoni

Stefano Giovannoni, Lullaby

Il progetto sviluppato da Giovannoni nasce dall’idea di ridisegnare un calice del ’500, riprodotto nel volume Bichierografia Libro Secondo di Giovanni Maggi. Reinventando il bicchiere, Giovannoni mette a confronto la banalità dell’oggetto con l’intenso valore sentimentale suscitato in lui dal libro da cui proviene, regalatogli dal suo maestro, Remo Buti, nel 1989, con una dedica che recita: “Bella copia!”.
Tornando a utilizzare la ceramica, materiale che secondo Giovannoni talvolta è più flessibile perfino della più utilizzata plastica, il designer stratifica nel tempo la sua ricerca sul concetto di vaso, raggiungendo una sintesi fra memoria e contemporaneità che commenta così: “Nonostante il vaso sia uno degli oggetti più antichi del mondo offre sempre la possibilità di essere reinventato attraverso concetti dove la morfologia è comunque espressione della tecnica costruttiva”.

Martì Guixé

Martì Guixé, Ceramic Snow Ball

E' un oggetto da inserire nella vasca di scarico del water per beneficiare di un risparmio d’acqua che conviene alle tasche e all’ambiente.
In che modo si riesce a risparmiare l’acqua? Perché lo spazio per l’acqua è occupato dalla palla di neve di ceramica.
Perché ha la forma di una palla di neve?
Perché la neve è acqua allo stato solido ed è bianca come le classiche piastrelle per il bagno.
Sul pezzo si trova una spiegazione grafica del suo funzionamento.

Martì Guixé

Pekka Harni

Pekka Harni, Pilons

Un’opera d’arte spesso è composta di molti elementi. Solitamente, questi elementi sono fissati insieme in un ordine definitivo.
Non ci è permesso di cambiare il loro ordine; una volta finita, l’opera è pronta e compiuta.
Nella mia installazione, ho voluto rovesciare questo dato di fatto. Ho creato dodici elementi semplici di ceramica con forme simili a vasi, in argilla rossa. Tutti questi elementi possono essere combinati secondo ordini diversi, per creare differenti composizioni di piloni. Chi utilizza quest’opera d’arte, o il suo proprietario, possono cambiare l’ordine della composizione di piloni per rinnovare l’opera. I piloni sono interattivi, almeno a livello teorico.
A causa della mia professione di architetto e industrial designer, sono abituato a dare una funzione agli artefatti e sono quasi incapace di creare un’opera d’arte pura, priva di un qualche aspetto simil-funzionale o utilitaristico. La funzione non elimina l’arte, anche se l’arte di solito elimina o trasforma la funzione.
Tutti gli elementi di ceramica utilizzati per le mie composizioni di piloni mostrano una forma di grande utilità simile al vaso tradizionale, ma nello stesso tempo sono modulari. Inoltre, è stata una soluzione naturale ricorrere a un maestro ceramista locale, impiegare l’argilla rossa e i metodi tradizionali di lavorazione per produrre questi piloni. È stato meraviglioso lavorare con un abile ceramista di Albisola, Marco Tortarolo.
Nei tempi antichi, il cibo era spesso conservato nei recipienti di ceramica, come vasi e pentole. Lo stomaco: un organo simile a un sacco, nel quale gli alimenti sono mescolati e parzialmente digeriti è anche un contenitore. Ho associato le diverse forme dei piloni ad alcuni problemi di stomaco, legati alla sovralimentazione.
Allegoria dei problemi digestivi, quest’opera è anche intesa come espressione della nostra società attuale, che consuma, mangia e sfrutta le risorse del pianeta Terra.
Per concludere, mi piacerebbe poter ri-funzionalizzare questi piloni di ceramica impiegandoli per realizzare una fontana per qualche bel giardino italiano.

Pekka Harni

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