Sperimentare la ceramica pura: l’esempio di Setsuko Nagasawa
Roland Blaettler
Negli anni ’60, la costa californiana è teatro di uno dei momenti fondamentali della ceramica del dopoguerra: quello che gli autori americani chiameranno la “Rivoluzione ceramica di Otis”. Presso il dipartimento di ceramica da lui fondato nel 1954, in seno all’Otis Institute of Art di Los Angeles, lo scultore Peter Voulkos dispensa un insegnamento basato su un approccio istintivo al materiale e alle sue potenzialità plastiche. Nel 1971, Paul Soldner, uno dei primi discepoli di Voulkos, si trova in Giappone. Setsuko Nagasawa assiste a una delle sue performance: la spontaneità e l’energia che caratterizzano l’approccio di Soldner l’incuriosiscono. Nel 1973 è invitata a seguire i suoi corsi allo Scripps College di Claremont, in California e i mesi lì trascorsi si riveleranno una tappa decisiva nella sua carriera. Nagasawa assimila soprattutto la pedagogia sperimentale di Soldner, secondo la quale l’allievo è incoraggiato a trovare da sé la propria strada, senza ricalcare modelli affermati. In un certo senso è l’antitesi dell’insegnamento tradizionale ricevuto all’Università delle Belle Arti di Kyoto, dove i valori fondamentali erano riflessività, modestia, rispetto del materiale e una maestria tecnica che mirava alla perfezione.
Setsuko Nagasawa è comunque lontana dall’aderire completamente alla tendenza che prevale nell’ambiente della nuova ceramica americana, dove la terra è considerata come una semplice materia prima. L’insegnamento principale dello “shock culturale” da lei vissuto in California risiede probabilmente nel considerare che, nella ceramica contemporanea, la creazione può essere un terreno di sperimentazione senza limiti, a patto di trovare un linguaggio plastico che tenga conto, o meglio che si nutra, della natura stessa della materia.
Dal 1974, il desiderio di progredire porta Setsuko Nagasawa in Europa. Il Vecchio Continente le appariva come un territorio neutro, sia rispetto alle radici giapponesi sia all’esperienza americana. Stabilitasi in un primo tempo ad Aix-en-Provence, pratica una ceramica incentrata sul tema del recipiente. Nel 1977, nelle sale dell’ Athénée di Ginevra, Nagasawa espone le sue prime sculture in ceramica e oggi lei stessa ritiene che quella prima esposizione ginevrina segni il vero debutto della sua carriera d’artista. In modo esplicito, perfino dimostrativo, rovescia i dati acquisiti della cultura ceramica tradizionale. Ad esempio sovrappone in uno stesso oggetto il grès e la porcellana, due materiali che, secondo la concezione classica, costituiscono categorie ben distinte e rigidamente separate nella tradizione giapponese. Nella tradizione della porcellana orientale, la terracotta è sempre rivestita da una copertura vetrificata. L’artista sovverte questa stratificazione immutabile creando quella che lei chiama la “porcellana vetrificata”, in cui i componenti della copertura sono mescolati alla porcellana stessa. Ne risulta una materia inedita, di una densità nuova.
Dalla fine degli anni ’70, Nagasawa affronta in modo più radicale la problematica spaziale realizzando le sue prime installazioni e questo la conduce poi in modo naturale al campo dell’intervento architettonico.
Le sculture in ceramica realizzate per l’esposizione dedicatale dal Museo Ariana di Ginevra nel 1996 testimoniano gli sviluppi di una ricerca cominciata nel 1994, in occasione della prima Biennale di Ceramica Contemporanea di Château d’Aubonne. Sono poliedri, forme apparentemente geometriche, perché la ceramica non si piega alle esigenze della geometria. Giocando con l’illusione geometrica, Setsuko Nagasawa, rivela uno dei caratteri profondi dell’argilla: la sua tendenza a deformarsi durante la cottura. Senza cercare di controllarla totalmente, l’artista talvolta modera, talvolta incoraggia questa tendenza, quel tanto che basta affinché lo stato fissato dal fuoco riveli le forze antagoniste. Invece di riempire lo spazio di forme dominanti, Nagasawa vi dispone degli oggetti che esistono innanzitutto come campi di tensione. Dall’incontro sottile della luce, del vuoto e della materia nasce una presenza che assume una dimensione monumentale. Una parte essenziale del procedimento è dedicata all’elaborazione dei materiali. I pezzi neri sono forgiati in grès o in porcellana mescolati a trucioli di legno, mentre per i pezzi bianchi, la stessa porcellana con l’aggiunta di trucioli è sottoposta a un’unica cottura a 1000° C. In corso d’opera, l’artista sente il desiderio di far confluire nuove ricerche sulla “porcellana vetrificata”, interessante per la sua particolare tendenza a deformarsi. Per mettere in risalto questo carattere specifico sceglie di affrontare un lessico formale per lei inedito: quello della sfera.
Il percorso personale di Setsuko Nagasawa esprime una sorta di necessità di movimento, o meglio, di rifiuto della sedentarizzazione. Partendo dal Giappone, la traiettoria traccia un moto di allontanamento. La tappa americana costituisce l’occasione di frapporre una distanza salutare nei confronti di una cultura ceramica carica di tradizioni. Liberatrice e stimolante, l’esperienza californiana comporta anche i suoi limiti, che si rivelano a Setsuko Nagasawa nell’approccio spesso superficiale alla materia. Questa constatazione le permette di misurare la portata profonda dei primi anni di formazione, di distinguerne gli aspetti veramente importanti per la sua crescita personale. L’essenza stessa di questo substrato culturale si traduce nell’artista in un senso acuto della specificità del procedimento ceramico. Ed è ancor più lontano, in Europa, che l’opera prende forma e si afferma la personalità artistica. Attraverso la sua stessa opera, Nagasawa continua a muoversi, esplorando senza posa nuovi territori. Evocando la sua identità giapponese dopo più di trent’anni di esilio volontario, Setsuko Nagasawa la percepisce oggi con una nuova intensità. Come tutti i nomadi, Nagasawa ha imparato ad alleggerire il suo bagaglio. Per affidare alla propria opera le tracce dell’essenziale.
È proprio in questo spirito che Setsuko ha vissuto la sua esperienza a fianco dei ceramisti di Albisola. È arrivata sulla costa ligure “senza bagagli”. Per confrontarsi con la tradizione del luogo non ha portato né i suoi attrezzi né i suoi materiali. Solo le forme che ha immaginato le appartengono pienamente. Per forgiarle, si è servita degli strumenti che ha trovato sul posto. Un fenomeno unico nell’opera di Nagasawa! L’improvvisa irruzione del colore è un’eco della tradizione secolare della maiolica ligure. Le forme create dall’artista saranno poi assemblate per costituire un’installazione, o meglio, varie installazioni, mutevoli ed effimere, reinventate senza tregua in funzione dello spazio. Ad Albissola, ancora una volta, Setsuko Nagasawa lascia un segno della sua presenza, al tempo stesso forte e discreto, ambizioso e leggero.
Testo pubblicato nel catalogo della II Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea, Attese, Albisola (Italia), 2003.