Le ceramiche e il mondo
Andrea Branzi
Ci sono delle tecniche come la ceramica, la lavorazione dei metalli e la tessitura, che mi sembrano molto diverse da tutte le altre tecnologie esistenti. Non soltanto perché sono le più antiche, ma perché più che alla storia della tecnica appartengono alla storia dell’antropologia.
Ho sempre pensato infatti che nelle tecniche primordiali l’uomo ricercasse il collegamento tra il suo lavoro e le leggi dell’Universo, non soltanto dunque l’utile costruttivo ma la relazione tra questo e gli aspetti misterici del mondo che lo circondava.
La tessitura, con il suo eterno intreccio tra trama e ordito, rappresenta ancora oggi presso molti paesi asiatici come l’India, la metafora dell’eterno ripetersi dei cicli della vita e della morte, il succedersi delle reincarnazioni e la connessione di tutto l’universo in un'unica rete di relazioni e di significati.
La fusione dei metalli ripete, fino dai tempi della preistoria, la scoperta del fuoco come energia espressa dalla terra e dal cielo, una fiamma sacra che tutto fonde e rigenera.
A sua volta la ceramica e tutte le terre che vengono plasmate sui giri del tornio riproducono il movimenti della volta celeste e i vasi che da questo si generano, riproducono le forme della vita che nasce dal fango e si cuoce nel fuoco.
Per questi motivi gli oggetti decorativi che stanno ancora oggi attorno all’uomo non sono mai semplici strumenti, ma anche presenze sciamaniche che collegano la vita quotidiana a significati che appartengono a aree sconosciute della spiritualità. In qualsiasi civiltà e in qualsiasi paese, le tracce più remote del passaggio dell’uomo, nei deserti come nelle montagne, sono costituite dai frammenti di ceramiche, cocci colorati e decorati, che spesso sono appartenuti a società che non avevano né città né architetture, ma cuocevano la terra per costruire questi fragili involucri destinati a contenere i liquidi indispensabili alla vita, ma anche per accogliere le ceneri dei morti. E intorno ai morti venivano posti gioielli e ceramiche, con la funzione di accompagnare il defunto in quel mondo sconosciuto che lo attende dopo la vita.
La storia della ceramica antica o moderna, non appartiene quindi né alla storia dell’Arte né alla storia del Design, ma alla storia delle tracce dell’Uomo e della sua Mente; la sua storia dunque coincide con la storia delle sue ceramiche, queste micro-presenze oggi del tutto simboliche e proprio per questo ancora più indispensabili. Esse sono presenti nelle nostre case, nelle città, nelle metropoli e nelle megalopoli contemporanee, come portatrici di pensieri e di qualità misteriose; inutili e proprio per questo sacre.
Oggi potremmo dire che la qualità di una città non è più costituita dall’architettura, ma dai vasi e dai fiori che vi si trovano dentro.
Fino a che ci saranno ceramiche (belle o brutte) vuol dire che ci sarà speranza, cioè ricerca di un mondo dove le cose inutili, apparentemente superflue, di cui nessuno capisce completamente il significato, hanno diritto di esistere. Vuol dire che c’è ancora spazio per la crescita del pensiero, dell’arte, della poesia o della musica, presenze (apparentemente) inutili e misteriose, senza le quali però la storia si fermerebbe.
Le ceramiche, fragili, spesso brutte o bruttissime, ingombranti o meravigliose, credo che vadano accettate tutte; come doni preziosi e simbolici che gli uomini fanno agli uomini.
Testo pubblicato nel catalogo della IV Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea “Cambiare il mondo con un vaso di fiori”, Corraini Edizioni, Mantova (Italia), 2010.