Broken Language


Rainer Ganahl



Per quanto riguarda la globalizzazione, sul New York Times ho letto di recente un interessante articolo che parla del sindaco di Treviso e dei suoi tentativi di tenere lontana l'immigrazione dalla città. La cosa degna d’attenzione è che Treviso è anche la sede principale della Benetton, un’azienda multiculturale e globalizzata che specula sulla sua immagine pubblica di sostenitrice di una società multirazziale… Chiaramente, traggono profitto dal genere di cose che vengono associate alla globalizzazione. Quando si parla di globalizzazione, ci si potrebbe chiedere: “Cosa sta davvero cambiando?” Niente cambia necessariamente e, in particolare, Treviso, la Benetton e i razzisti… In ogni paese accadono probabilmente le stesse cose.
Le lingue sono sempre state una presenza caratterizzante il mio modo di essere artista. Sono nato in un piccolo paese dell’Austria, sulle montagne, dove si parla una specie di dialetto tedesco. L’Austria è stata uno dei paesi che ha preso parte alla follia nazista e come austriaci ci siamo dovuti confrontare con questa storia. Per questo motivo ho sempre desiderato imparare l’italiano, lo spagnolo e il francese…, cercando in qualche modo di dissociarmi da quell’evento. In seguito, ho cominciato a studiare le lingue orientali e la prima è stata il giapponese. Successivamente, ho scoperto il greco antico. In Germania vivono molti immigrati greci che vengono guardati dall’alto in basso, mentre a scuola il greco antico costituisce una sorta di Sacro Gral dell’istruzione. Ho cominciato anche a studiare il russo, il coreano e il cinese. Ho imparato molto dagli studi sull’orientalismo di Edward Said e dalla sua critica all’eurocentrismo. 
Parlando di ceramica, quello che mi interessa è il rapporto con la manualità, e il mio modo di utilizzare le mani comporta anche l’utilizzo del cervello, che è una specie di muscolo. Quello che si fa quando si decide di adoperare la ceramica è tentare di consolidare qualcosa, ma questo richiede tempo e studio. Anche l’atto ripetitivo dello studio richiede anni e anni. È quasi come cuocere e mettere la ceramica nella fornace… Non intendo essere feticista nei confronti della manualità, né del cervello… Ovviamente, è l’aspetto concettuale dell’apprendimento e la creazione di rapporti con la storia di queste pratiche che interessa il mio lavoro di artista. In che modo utilizzo le lingue all’interno di un contesto artistico? Ad esempio, nell’opera che si intitola Le mie prime 500 ore di cinese elementare, tutto quello che faccio è filmarmi mentre studio il cinese. Il lavoro si avvicina alle opere su carta — fogli di studio — e ricorda una grande scultura che consiste di pile di nastri video. La videocamera accentua la sorveglianza e mi costringe a studiare intensamente. Questi nastri, mostrano l’impossibilità della rappresentazione, nel senso che non è possibile rimanere a guardare veramente 500 ore di video. Inoltre, i nastri vanno man mano perdendo informazione per via dell’usura, secondo un processo simile a quello che accade quando si dimentica. Il dimenticare infatti fa parte di questa prassi. Di recente, ho cominciato a lavorare sull’opera Le mie prime 500 ore di arabo elementare. Studiare l’arabo ha il carattere meditativo del relazionarsi e dell’essere coinvolti da una cultura senza esserlo realmente. Mi impedisce di perdere il senno di fronte alle notizie su quella regione. La mia pratica di studio mima un po’ il principio kantiano dell’analisi delle condizioni sulle possibilità della conoscenza. 
Parlare le lingue straniere è una modalità privilegiata —seppure non sufficiente — per un’interazione culturale proficua. Mi interessa anche l’aspetto istituzionale della produzione di conoscenza, dove le strutture principali sono le università e le conferenze come questa. Esiste una politica delle università. Uno dei miei lavori si intitola Seminar/lectures e consiste nel fotografare professori, lettori studenti e pubblico. È per questo che scatto fotografie anche qui. In Europa, le università sono organizzate intorno all’ideologia della costruzione della Nazione e questo oggi crea molti problemi di integrazione con le altre culture. Lo stato-nazione deve confrontarsi con una serie di falsi concetti quali: in cosa consiste l’essere inglesi o italiani? Si può essere inglesi o italiani e non essere bianchi? A differenza delle università europee che sono per lo più statali e richiedono rette basse o sono addirittura gratuite, negli Stati Uniti invece le università sono molto costose. Non sono costrette ad aderire a una linea culturale nazionale e sono università importantissime, dove le prestazioni sono misurate nei termini monetari e del mercato. L’educazione è diventata un investimento. L’università è quasi un prodotto aziendale, ognuna opera come una multinazionale in competizione con le altre. Un’altra parte delle mie opere riguarda il fare il lettore ai seminari universitari che consistono semplicemente nel leggere con le persone. Negli ultimi dieci anni ho letto molti autori tra cui Karl Marx e Frantz Fanon. Proprio ora, sto andando a Firenze per avviare un gruppo alla Lettura di Antonio Gramsci. Infatti, adoro riuscire a coinvolgere le persone in un processo di studio.



Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.



Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea

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