Sculture indisciplinate e senza compromessi
Tiziana Casapietra e Richard Hawkins
Tiziana Casapietra: Come è nato questo progetto?
Richard Hawkins: Gran parte del mio lavoro si basa su una ricerca che alla fine si trasforma in un prodotto. In questo caso, tutto è cominciato da una ricerca sulla cultura greco-romana, avviata tre anni fa nel corso del mio primo viaggio a Roma. Qui vedevo dappertutto belle sculture. Ero molto affascinato dalla bellezza in formato tridimensionale e sentivo che avrei dovuto lavorare intorno a questo concetto. Le mie lunghe ricerche sulle differenze di genere e di sesso nelle diverse culture e questa nuova fascinazione per la scultura tridimensionale si sono incrociate a Villa Borghese, nella stanza dell’Ermafrodita. Qui, l’unica cosa che si vede è la parte posteriore di una bella donna il cui viso è rivolto verso il muro. Non si può vedere il volto, perché c’è una paratìa che impedisce l’ingresso dei visitatori nella stanza. L’unico altro Ermafrodita dormiente conosciuto è al Louvre ed è installato in modo diverso; si trova al centro della stanza, ma lo spettatore lo vede in realtà dallo stesso punto di vista di quello di Villa Borghese. Vale a dire che si vede prima la parte posteriore, ma poiché l’accesso alla stanza non è bloccato come a Villa Borghese, al Louvre si può camminare intorno alla statua e, naturalmente, si vede che non si tratta di una donna. Ho trovato questo aspetto molto interessante, ed è qui che il lavoro sulle questioni di genere, oggetto delle mie ricerche, si è incontrato con questa interessante scultura. Qui ho capito che il retro della scultura era in realtà il suo fronte. La scultura resta incomprensibile finché, girandole intorno, non si vede il retro e si comincia a ridere.
TC: Perché l’hanno installata così?
RH: Senz’altro perché ancora oggi è ritenuta volgare.
TC: Forse sono state pensate per essere esposte in questo modo.
RH: Non sono riuscito a scoprirlo e sembra che nessuno lo sappia. Magari, esisteva uno scenario nel quale questi Ermafroditi avevano una facciata pubblica e una privata. è anche interessante notare che, più o meno dopo il 500 a.C., le sculture di grandi dimensioni hanno cominciato ad allontanarsi dal muro; ma è anche divertente considerare che, nonostante si potessero sicuramente realizzare sculture con un grande didietro a partire dal periodo arcaico, il retro non veniva ancora ritenuto un punto di vista valido. C’era solo un lato privilegiato: il volto. Questo è il motivo per il quale le sculture di ermafroditi erano così interessanti; si tratta del solo personaggio della mitologia greco-romana con due generi, ed è perfetto per giocare con il fronte e il retro della scultura.
TC: Ed è così che hai deciso di modellare delle sculture.
RH: Avevo bisogno di realizzare qualcosa di tridimensionale per definire questo progetto.
TC: È la prima volta che realizzi delle sculture?
RH: Nel passato ho assemblato delle sculture, ma erano tutte realizzate con materiali trovati. Un’estensione della pratica del collage.
TC: Perché hai scelto di utilizzare la ceramica?
RH: Per sette anni mi sono dedicato alla pittura, e per quattro anni ho dipinto solo quadri figurativi. Di solito erano astratti. A differenza del disegno, in particolare con la pittura a olio, se i colori sono umidi è possibile continuare a modificare una figura, finché emerge quella giusta. Non occorre essere bravi a disegnare. Ho pensato che con la ceramica fosse lo stesso, che fosse molto più facile trovare la figura dentro la terra, invece di dare a qualcuno l’incarico di modellare una figura per me, o di appropriarmi di una figura già esistente.
TC: Questa è stata la prima volta che hai realizzato davvero qualcosa in ceramica. Avevi paura?
RH: Sì! Non si vedeva? Avevo una vaga idea. Io sono bravo a riutilizzare gli errori, trasformandoli nel loro contrario. Qui ha funzionato molto bene; in un certo senso, è qualcosa che ho imparato dalla pittura. Non che io sia così bravo, ma la terra rimane malleabile per un certo periodo di tempo. Tuttavia, il tempo disponibile per poter cambiare ciò che si è fatto è limitato: di solito tre, quattro giorni circa, e bisogna decidere molto velocemente.
TC: Cosa hai provato quando hai cominciato a lavorare alle sculture?
RH: Le prime cinque o sei sono state degli esperimenti per vedere cosa potevo fare. La prima cosa che ho scoperto, da principiante, è che senza un’armatura si è limitati nelle dimensioni. Dopo aver scoperto tutte queste cose, ho cominciato a ripassare mentalmente le altre sculture e gli altri scultori che conosco, come Wilhelm Lehmbruck e Aristide Maillol e altri figurativi, specialmente degli anni Quaranta e Cinquanta. In qualche modo sapevo di voler realizzare qualcosa che fosse a metà tra un’astrazione figurativa modernista e una versione realmente accademico/classica di quello che è la bellezza. E allora ho scoperto – per me è stata una grande scoperta – la ceramicità della ceramica.
In pittura la parola facture significa che il mezzo ha dei difetti voluti. Con le prime cinque o sei sculture di ceramica realizzate, ho continuato a rifinire il lavoro, togliendo tutti i buchi e le crepe. All’inizio, quando dipingevo, commettevo un sacco di errori ma riuscivo a conservarne alcuni nel lavoro finito. Ora che conosco meglio la tecnica pittorica, ho cominciato ad annullarli e questo sta diventando un problema. All’inizio, lavorando la terra, terminavo un’opera più o meno in dieci minuti, per poi passare due ore a togliere tutte le imperfezioni e le porosità. Mi ci sono voluti alcuni giorni per capire che preferivo conservare questi difetti. È importante che la terra resti più viva e vibrante per ottenere una sorta di movimento; il movimento di superficie che la ceramica riesce ad assumere è come la facture in pittura. Gerhard Richter è un esempio perfetto di questo tipo di resa del movimento in pittura, ma tutti questi piccoli micro-movimenti dipendono dalla facture, dalla fibra della tela, dal segno delle pennellate. Sono anche le caratteristiche che ho cominciato a lasciare nelle ultime sculture realizzate in ceramica.
TC: Sei contento del risultato finale?
RH: Non mi aspettavo che fossero così figurative. Avevo un’idea molto vaga del mio desiderio di realizzare sculture con un fronte che fosse il retro e un retro che fosse il fronte. Senz’altro, avevo valutato in modo molto realistico la mia mancanza di talento, ma non volevo realizzare brutte sculture. Preferivo che fossero astratte piuttosto che inadeguate. La questione del talento è quello che mi sorprende con la ceramica. È così malleabile, si può sperimentare e ritentare, aggiungere un po’ qua e un po’ là. Se si ha il senso delle proporzioni, e non necessariamente il talento, si può avere un’idea di come il corpo si muove nello spazio. In dieci minuti si può far emergere qualcosa di riconoscibile come una figura. Non che la terra sia semplice, ma ora che conosco meglio l’integrità strutturale, il significato del tempo di essiccazione e i limiti imposti dalla gravità, cercherò di lavorare di più provando ad allargare i limiti fisici dell’argilla. Sarà una sfida più grande cercare di realizzare sculture figurative ancora più complesse.
TC: Parlami del colore che hai deciso di utilizzare per le tue sculture, il bianco opalino.
RH: Quando lavoravo alle mie ricerche al Museo di Arte Antica di Berlino, ho scoperto tante statue di terracotta lucida, dipinte con colori molto semplici. Probabilmente erano policrome, ma col passar del tempo è affiorato l’arancione della terracotta attraverso la superficie bianca. Per le mie sculture, volevo che apparisse l’arancione dell’argilla e allo stesso tempo che fossero colorate.
TC: Riesci a passare facilmente dalla pittura al collage, alla scultura. Perciò, potresti essere facilmente considerato “indisciplinato”, che per noi significa la libertà e versatilità di attraversare le discipline e anche di non essere attaccati alle loro strette regole. È qualcosa che potrebbe essere visto anche come un approccio molto rischioso.
RH: Se c’è qualcosa di negativo nella mia pratica è che potrei abbandonare le cose troppo facilmente, prima di averle portate al loro giusto livello. Ma per me invece di perfezionare, è più interessante mettermi in situazioni nuove in cui commetto errori: il mio talento, se ne ho uno, è di riutilizzare al massimo i miei errori. Questo è il solo modo di lavorare che conosco. È come continuare a sfidare me stesso e tener desto il mio interesse, facendo ricerche. Può essere rischioso, ma amo proprio questa emozione.
TC: Sei emozionato dalle tue sculture?
RH: Ne sono molto contento. Le trovo sexy e in un certo senso senza compromessi.
TC: È interessante notare che tutti gli artisti hanno un approccio completamente diverso. Ci sono artisti che sono ossessionati dalla precisione e vogliono controllare tutto.
HK: La prima cosa che ho imparato, all’inizio, è che la ceramica ha dei limiti. Se non si utilizzassero i limiti di ogni mezzo, non si avrebbe la facture in pittura.
TC: Per poter cambiare i media, passare dalla pittura alla scultura per esempio, bisogna mettersi in gioco e sperimentare. Pensi che queste sculture ti rappresentino ancora?
HK: Chi mi conosce solo come pittore non le riconoscerebbe come mie.
TC: E tu ti riconosci?
RH: Sì riconosco diversi aspetti tipicamente miei, ciò su cui verte sempre il mio lavoro. È come avere interessi diversi che in qualche modo inducono forme diverse, come per esempio accade con i miei collage, seguo solo il mio interesse, finché non inizia a nascere qualcosa.
TC: Per noi è sempre stato molto interessante vedere in che modo degli artisti che di solito lavorano con altri mezzi, come il video, piuttosto che la pittura o la fotografia, riescano a tradurre la loro poetica in ceramica.
RH: Penso che la mia carriera sia attraversata dalla versatilità e questo è il modo positivo di valutare questo aspetto. Quello un po’ meno positivo è la sua totale incoerenza.
TC: Per me si tratta di curiosità.
RH: Assolutamente. Non che io mi annoi così facilmente, piuttosto è come compiere delle ricerche ed esserne ispirati.
TC: Cosa provi ora per le tue sculture?
RH: Queste sculture sono collegate alle mie ricerche iniziali sul genere e sulla sessualità greco-romane in rapporto all’idea di realizzare una scultura con un retro veramente bello da vedere. Ma nello stesso tempo c’è anche un tratto relativo alla bellezza e all’umorismo.
TC: Perché all’umorismo?
RH: Questo era il fine delle sculture greche dell’Ermafrodita: le rappresentazioni erotiche provocavano il riso. Penso che le mie sculture siano giocose nello stesso modo, non sono molto serie, ma potrebbero anche essere giudicate di cattivo gusto, credo.
Testo pubblicato nel catalogo della III Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea “Indisciplinata”, Attese, Albisola (Italia), 2006.