L’erba di casa Jorn
Marco Lavagetto
L’erba della casa di Jorn, le pietre del principe Juva, gli scultori di Zuma Rock
La casa di Asger Jorn si trova sulle alture di Albissola Marina. Ormai è disabitata da molti anni e le piante infestanti proliferano indisturbate nel vasto giardino che si sviluppa in verticale, tra scale nascoste da pergolati che si alternano a passaggi lastricati da mosaici messi insieme con scarti di piastrelle multicolori.
Lunghi ciuffi d’erba fioriscono ovunque, spuntano rigogliosi dalla grande vasca-acquitrino, crescono indisturbati vicino alle sculture fatte di stalattiti, di blocchi di quarzo rosa, di tocchi di ossidiana, di conchiglie e capitelli cimiteriali. Questi collage concreti, quasi come una collezione di minerali messa in mostra, mi ricordano la mia infanzia, quando raccoglievo stalagmiti e rocce calcaree e sognavo di fare il geologo. Varie sculture in ceramica dalle forme appena abbozzate — forme che sembrano far parte di un naturalismo corrotto e aleatorio, una materia primordiale ai confini dell’informe plasmata da mani divine — convivono in armonia con le pietre e gli scarti di cottura incastonati nei muri, quasi che si volessero nascondere agli sguardi...
Alcune pietre assomigliano a teste d’uomo, come quelle che il principe Antonin Juritzky, detto Juva, raccoglieva nella regione francese di Levallois alla fine degli anni ’40. Il principe, presunto archeologo, era convinto che le pietre antropomorfe da lui trovate fossero il risultato di un intervento di perduti artisti preistorici. Questa intuizione del volto umano che misteriosamente sorge da una roccia è la stessa che devono aver avuto gli scultori altrettanto anonimi che rimodellarono la parete di Zuma Rock, celebre formazione rocciosa sita in Nigeria, alle porte di Abuja. La faccia nascosta che appare a chi guarda con attenzione non ha bisogno di spiegazioni, è un esempio lampante e ancestrale di Land Art. Jorn ha interpretato l’architettura ornamentale trascendendo il decoro fine a se stesso, come se l’artista fosse un intermediario casuale e non invasivo. Il mondo che lo circonda non sembra subire mutamenti vistosi, la ceramica di Jorn si manifesta con forme caotiche, lontane dal manufatto che entra nei dettagli, le forme di Jorn non hanno forma o forse sono la forma dell’informe...
La casa disabitata di Jorn è un vero e proprio museo dell’abbandono, si potrebbe annoverare tra quelle “architetture trascurate” che si completano attraverso il degrado e l’oblio. Ci sono posti costruiti per viverci che, quando non ci vive più nessuno, sono ancora più belli. Certe case, certe fabbriche, certi ospedali, nascondono la loro bellezza fino a quando la presenza umana non li diserta, fino a quando la polvere e il silenzio non li rimodellano discretamente, ma inesorabilmente. L’apologia delle rovine, che riverberava dalle opere di Piranesi e di Monsu Desiderio, fa parte di un gusto estetico che incorpora e accetta l’entropia come una meraviglia inevitabile. Il restauro cerca di cancellare i segni del tempo, ma così ne altera il corso naturale, azzera la bellezza che ha disgregato le molecole di un affresco, cercando di ristabilire un ordine ormai perduto per sempre. Il mio personale augurio è che la casa di Asger Jorn non venga deturpata da un restauro puramente cosmetico, che provochi un’interruzione nel suo naturale degrado: spero che rimanga così come l’ho vista, sempre più avvinghiata dai vegetali, i veri padroni della vecchia casa di Jorn.