Ceramica ironica
Vasif Kortun
Nel corso della mia prima visita ad Albisola, l’aggettivo “ironico” è stato utilizzato spesso, riferendolo agli artisti che avevo invitato alla mostra. Questo commento rappresenta in qualche modo anche una conferma del grado di reciprocità esistente tra me e quegli artisti con cui avevo intenzione di lavorare per l’esposizione. Tutti i miei commenti arroganti, mordenti, cinici, provocatori, derisori, a doppio taglio e beffardi sono stati neutralizzati nel corso dei pochi giorni trascorsi laggiù. Per prima cosa, il mio corpo ha iniziato a seguire ritmi diversi, portandomi a fantasticare in modo irragionevole di una languida riviera italiana, in cui il tempo si dilata nella calura. Le visite ai maestri artigiani, i ruderi di fabbriche colossali a testimonianza di una seconda metà del ’900 estremamente industrializzata e infine una festa danzante organizzata da un’istituzione comunista su nei monti, mi hanno convinto che mi trovavo in un luogo tenacemente attaccato alle sue tradizioni.
È ovvio che prendere tempo non significa essere indolenti, anche se spesso non riusciamo a comprendere in che modo diversi momenti, ritmi e stagioni possano andare di pari passo. Il tempo è qualcosa di incalcolabile e non è mai disponibile nella quantità che si vorrebbe. Non è solo il tempo dell’artista a essere mutevole e arbitrario, anche quello richiesto dalla lavorazione dell’argilla, quello impiegato nel modellare, nel lasciar seccare, nel cuocere e nell’attesa del risultato, è piuttosto variabile. Non è una scienza esatta, ma una fede che proviene dalla pazienza e dall’esperienza. Nessuno può prevedere il risultato in anticipo.
Poiché presuppone in modo specifico un’autocoscienza, l’ironia è divenuta una delle supreme metafore dell’arte per la maggior parte del ‘900. Tuttavia, gli artisti con cui ho voluto lavorare non sono poi così ironici. Magari non ricorrono all’ironia, ma fanno senz’altro appello all’umorismo riferendo una parte dello scherzo anche a se stessi. L’umorismo è qualcosa di aperto. È un modo per facilitare l’accesso a una quantità infinita di temi contemporanei, annullando le difese intellettuali dello spettatore, suggerendo alternative non plausibili e creando un’atmosfera accogliente per le questioni difficili che possono sorgere. L’umorismo è il privilegio dei derelitti, degli imbroglioni e dei buffoni di corte. È anche un intrigante e flessibile strumento per cercare la libertà fuori dalla cultura, dalle spiegazioni e dalle tendenze che ne derivano.
L’attrattiva che la ceramica suscita in quegli artisti contemporanei il cui lavoro non si basa sui media, deriva anche dal fatto che è stata spesso considerata un mezzo di basso profilo, che non si trova al primo posto nelle graduatorie della cultura alta. Questo è uno degli aspetti affrontati dal lavoro che Björn Kjelltoft presenta alla Biennale. L’artista si sgancia dalla vivace lucidità dei linguaggi basati sul modo di vivere nella sua patria, la Svezia. Björn utilizza colori sgargianti e modelli decorativi, adottando una strategia estetica di lavoro presa a prestito da una “paria” del gusto elevato: Ulrica Hydman Vallien1. All’interno del dominio della ceramica dà espressione a questo gusto particolare senza alcuna allusione ironica, applicandolo a degli indicatori dell’industria dello shopping come i dispositivi contro i furti dei centri commerciali.
Nedko Solakov, che oggi è di gran lunga il più divertente narratore di storie dell’arte contemporanea e che in passato ha rifatto da solo un fiocco di neve del peso di 106 kg, è un briccone che ha provato che il mondo è piatto. Nel lavoro realizzato per questa mostra, Nedko espone le prove della sua paura di volare, una vera maledizione per un artista sempre costretto a viaggiare. I piccoli pezzi deformati di argilla cotta rivelano la pressione delle sue dita contratte sul materiale grezzo durante i suoi viaggi in aereo. Il lavoro rappresenta di fatto il tentativo fallito di esorcizzare questa sua profondissima fobia.
Sin dalla fine degli anni ‘80, Hale Tenger è sempre stata dotata di senso dell’umorismo al punto che il suo lavoro per la Biennale di Istanbul del 1992, una luccicante installazione muraria composta da statuette “non-vedo, non-sento, non-parlo” e da antiche figure della fertilità dotate di enormi falli eretti, le ha quasi procurato un biglietto per il carcere. Con un master in ceramica — il che costituisce una particolarità e una idiosincrasia nell’ambito di questa mostra — qui combina una nuova versione di questa figura della fertilità con le decorazioni ottomane di Nicea, per creare un ibrido culturale gioviale, se non addirittura gradevole.
Il lavoro di Gabriel Lester è allo stesso modo incentrato sul readymade, sul quale introduce, però, qualche piccola alterazione. La copia di un busto di Giulio Cesare viene animata dallo spettatore che può sbirciare attraverso gli occhi imperiali. La domanda che si è posto Gabriel è cosa guardino le statue e quale sarebbe il nostro imbarazzo, nel corso del giorno e dopo ore di immobilità, se noi fossimo le statue all’interno di un museo.
Non si può mai dire a un bambino che l’uvetta è un dolce pensando di poterla poi fare franca. L’arte ceramica può essere considerata l’uvetta del mondo dell’arte. (Björn Kjelltoft)
1 Ulrica Hydman Vallien è un’artista estremamente popolare che lavora con il vetro. In origine con una fama consolidata di ceramista
Testo pubblicato nel catalogo della II Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea, Attese, Albisola (Italia), 2003.