L’industria del museo
Premessa
Gli standard di qualità messi a punto per i musei (e che valgono anche nel caso specifico di un museo del distretto della ceramica) prevedono innanzitutto una corrispondenza tra “l’istituzione non profit permanente al servizio della società e del suo sviluppo” – come sottolineano gli Statuti del 1974 dell’International Council of Museums – e la sua mission, che consiste nel “collezionare, conservare, fare ricerche, interpretare a scopo di studio, educazione e divertimento, la testimonianza materiale di un popolo e del suo ambiente”.
In un prossimo futuro è auspicabile la creazione di un museo del distretto della ceramica (Comuni di Savona, Vado Ligure, Albissola Superiore, Albisola Marina). Tale struttura si mostrerebbe come il luogo di congiunzione della vocazione culturale e di impresa del distretto, nell’esposizione di opere d’arte e di oggetti in ceramica, di documenti e progetti, di mezzi e di macchinari propri della produzione di questa tradizione locale.
Vanto dell’identità di un territorio, investimento di una cultura economica, sociale, culturale, la struttura espositiva, insieme al patrimonio di beni culturali rinvenibili sul territorio, alle manifestazioni temporanee di forte richiamo promozionale e alle attività produttive delle manifatture, diventerebbe il motore di iniziative nelle quali potrebbero interagire enti pubblici e privati, nell’auspicabile armonia di una finalità unica e massimamente interdisciplinare.
Raccogliere le testimonianze della vita delle imprese della ceramica in un museo, significa dare al territorio un luogo privilegiato dove ritrovare e ricostruire la storia di diverse generazioni di uomini e cose. Significa anche esaltare momenti di creatività del lavoro e di dinamismo di una comunità in tutte le sue componenti, produttive, culturali, civili e politiche.
Obiettivo di un museo del distretto della ceramica è di valorizzare una success story e di contribuire alla costruzione di un’immagine del suo tessuto produttivo e culturale, grazie all’uso della storia, sottolineando insieme il radicamento delle imprese nel passato, la qualità dei prodotti e la capacità innovativa.
Sono almeno quattro le motivazioni che spiegano il bisogno di ricostruire la memoria storica e che, sinteticamente, possiamo individuare in:
• servizio al territorio;
• contributo alla conoscenza e alla formazione generale e specifica;
• senso di appartenenza;
• immagine e comunicazione, quindi marketing.
La finalità di salvaguardia del museo del distretto della ceramica mirerebbe non soltanto a non lasciare deperire un patrimonio di oggetti, ma – preliminarmente – a ricostruire questo già disperso patrimonio.
Quindi, la prima opera di valorizzazione andrebbe sviluppata nella ricerca di oggetti e materiali pertinenti, e soltanto in seguito nella vera e propria salvaguardia di un’entità costituita da progetti e realizzazioni.
La prima componente tematica del museo del distretto della ceramica è costituita dai prodotti delle imprese di ceramica, cioè dagli oggetti relativi alle vicende produttive nel corso dei secoli. Si tratta di oggetti che si offrono ancora oggi, in alcuni casi, nei depositi – conservati cioè in qualche modo per forza d’inerzia -, oppure che andrebbero altrimenti recuperati grazie a ricerche mirate e in una prospettiva di recupero patrimoniale.
Un’altra componente tematica del museo del distretto della ceramica attiene alla tecnologia della produzione. Infatti, non interessa solo quanto le imprese locali possono aver offerto o offrire come oggetti prodotti, ma contano anche le imprese in quanto piccole manifatture dotate di determinate tecnologie.
Fanno parte delle possibili componenti tematiche del museo del distretto della ceramica anche le metodologie produttive e i luoghi di produzione, ovvero gli edifici dove la produzione ha luogo. Quest’ultima questione tocca situazioni disciplinari nell’ambito dei quali la sensibilità della cultura storico-artistica è già da tempo piuttosto avanzata, basti pensare all’archeologia industriale.
A questo proposito sarebbe auspicabile la salvaguardia delle storiche manifatture, operanti o in disuso, ancora presenti sul territorio (La Fenice, Ceramiche San Giorgio, Ex Ceramiche Minime Pacetti, Fabbrica Alba Docilia, Ceramiche Esa Mazzotti).
Un’altra componente tematica del museo del distretto della ceramica è il complesso apparato relativo alla comunicazione del prodotto. Il che implica tutta una serie di problemi relativi agli ambiti della pubblicità, dell’immagine, del mercato e così via.
Tutte queste componenti tematiche sono riconducibili a quella che viene definita cultura materiale dell’arte e che, naturalmente, implica tutto un patrimonio di conoscenze relative innanzitutto alla tradizione artigiana e alla progettazione che dà forma all’ambiente e agli oggetti.
E’ questa una questione molto importante, perché, come ci ricorda Enrico Crispolti “siamo abituati a considerare l’arte soltanto nelle eccellenze qualitative e pure, mentre il contesto dell’arte nel passato, ma anche nella contemporaneità, è costituito da una sfera più diramata dell’arte, inerente allo spazio quotidiano”.
Nella configurazione di un’identità del museo del distretto della ceramica, risultano dunque fondamentali i luoghi più intimi della memoria d’impresa (i documenti, gli archivi e i depositi) di cui il museo sarebbe l’evidenziazione scenica e ambientale.
Si tratta di considerare il museo del distretto in rete con il circuito dei più importanti musei italiani e stranieri, quale sede di formazione continua, dunque come volano per caratterizzare la storia della specializzazione produttiva e culturale del territorio, e con essa rispondere a una politica di marketing.
Il più rilevante aspetto formativo del museo del distretto della ceramica consisterebbe nella capacità di recuperare un patrimonio di conoscenze relative alla tradizione artigiana e artistica locale.
La valorizzazione della memoria risulterebbe come un elemento ulteriore del marketing mix. In tal senso, il valore dei documenti travalicherebbe i confini della ricerca a fini di studio, per acquisire esplicito carattere di mezzo di comunicazione tra il distretto della ceramica e l’esterno, creando plusvalore ai prodotti in termini di tradizione, affidabilità, qualità.
Il museo del distretto della ceramica presenta forti potenzialità, perché, da una parte potrebbe facilitare l’incontro tra domanda e offerta dei beni rappresentati e del loro più attuale sviluppo; d’altra parte, inserirebbe il patrimonio delle imprese nei circuiti propri dei beni artistici, sviluppando il turismo culturale.
La gestione del museo del distretto della ceramica deve avere l’obiettivo di far funzionare una struttura non statica (che sarebbe fallimentare sul piano economico), ma il più possibile dinamica, prevedendo l’avvicendamento delle esposizioni in modo che la collezione possa essere costantemente arricchita, fino a immaginare il museo come strumento di circolazione a livello nazionale e internazionale dei pezzi storici.
Le tendenze-chiave di una simile operazione presuppongono l’individuazione di:
• risposte manageriali rilevanti;
• un target gestionale tra pubblico e privato;
• obbiettivi specifici di soddisfacimento di tendenza attuali, di segmenti di mercato, di flussi di turismo;
• rapporti di partnership con musei consimili;
• l’adozione di una metodologia di successo;
• una pianificazione cronologica di sviluppo.
Il più delle volte è difficile trovare la giusta strada per armonizzare l’alta progettualità culturale con la convenienza economica derivante dalla comunicazione sul museo e dalla sua funzione che, per esemplificazione, definiamo di marketing.
Marco Causi, esperto accreditato nell’analisi de rapporto costi-ricavi nel sistema museale italiano, sostiene che, nella gestione, i ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti e i proventi del bookshop nel miglior museo nazionale non coprono più di un quarto dei costi.
I musei, per status e missione, non potrebbero sopravvivere se dovessero contare solo sui proventi della biglietteria, dei ristoranti o delle vendite di libri e gadgets. E’ invece il patrimonio economico, di cui dovrebbero essere dotati questi musei, che bisognerebbe investire per produrre proventi sufficienti a coprire tutte le loro esigenze.
A questo proposito risulta utile guardare alle fondamenta su cui poggiano i musei americani che spesso nascono con l’apertura al pubblico di una collezione privata che il fondatore dota, appunto, di un capitale iniziale a volte vastissimo. Questo capitale iniziale, a cui si aggiungono ulteriori fondi raccolti fra i cosiddetti benefattori, costituisce in genere il patrimonio finanziario di ciascun museo americano, amministrato dai Trustees che ne investono sul mercato (e non in cultura) la maggior parte, in modo da assicurare delle entrate da spendere per nuovi acquisti e per il funzionamento del museo.
Il Museo, dunque, ha a sua volta le caratteristiche del bene culturale che, secondo Salvatore Settis “non si calcola in moneta, ma sulla base del beneficio che dalla sua conservazione si ripercuote sulla società nel suo complesso, e che si traduce in vantaggio economico”.
A questo proposito, il Museo Guggenheim di Bilbao, nato nel 1997, è un chiaro esempio di come la cultura possa essere un eccellente strumento di sviluppo economico.
Negli anni Settanta e Ottanta i Paesi Baschi hanno vissuto una profonda crisi dell’industria dell’acciaio e si sono trovati nella necessità di ridefinire il loro futuro. La nuova politica è stata quella di non puntare più sull’agricoltura e sull’industria, bensì sul turismo di qualità. Da questa visione innovativa è nata la collaborazione con la Fondazione Guggenheim. Il governo basco ha messo a disposizione le risorse economiche e alla Fondazione Guggenheim è spettato il compito di gestire il nuovo Museo. Non a caso è stato scelto un architetto di fama mondiale, quale Frank Ghery, che ha fatto di questo nuovo edificio un capolavoro dell’architettura della fine del Novecento. L’operazione può dirsi perfettamente riuscita, considerando che le attività del Museo hanno inciso sensibilmente sul prodotto interno lordo dei Paesi Baschi.