La Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea
Tiziana Casapietra
La Liguria
Poiché è ormai leggendaria la chiusura di noi liguri poco inclini all’ospitalità, voglio cominciare sottolineando l’abbraccio dei nostri monti e l’apertura del nostro mare. Ma anche la terra aspra dalla quale molti se ne sono andati e dalla quale è partita anche la controversa figura di Cristoforo Colombo. Come fanno i nostri contadini con questa terra che lavorano in terrazze, voglio addolcire e sfatare l’asprezza che ci è tipica e aprirmi ai nostri ospiti come ci insegna il mare, per questo decido di parlare in inglese.
La storia del progetto
Nell’estate del 2000, quando Roberto Costantino, Danilo Trogu e io abbiamo cominciato a invitare gli artisti a lavorare, potevamo solo proporre il nostro entusiasmo, la terra che Danilo prima ed Ernesto Canepa dopo mettevano loro a disposizione, un letto dall’amica Adelina Robotti, e un pasto offerto dal bar Pilar. Malgrado ciò, gli artisti invitati, abituati ad essere contesi dalle più importanti istituzioni artistiche internazionali, si sono appassionati a questo progetto, ai luoghi, alle persone che li ospitano. Molti sono stati persino quegli artisti che avendo accettato l’invito a partecipare alla I edizione della Biennale, sono poi tornati più volte, per conto proprio, a elaborare lavori per altre mostre, a Londra come a New York.
Dopo qualche tempo si sono affacciate possibilità di lavorare con le istituzioni locali come il Comune di Albisola Superiore prima e quello di Albissola Marina dopo, fino allo Stato di Ginevra dove la I edizione della Biennale è migrata nel giugno del 2002. Dal piccolo seme della I edizione della Biennale è nato un alberello, forse un ulivo delle nostre colline. I suoi rami si sono protesi sino ad abbracciare sempre più fabbriche di ceramica e istituzioni che promuovono la Biennale, senza le quali il progetto non avrebbe potuto svilupparsi come è oggi.
Agli artisti invitati viene chiesto di rapportarsi alla ceramica trascorrendo del tempo nelle nostre botteghe per elaborare insieme alle maestranze locali le proprie opere. Tutte le opere sono prodotte localmente, nel corso di più di un anno, durante il quale questa zona assiste a un andirivieni di artisti. La Biennale quindi non si riduce al momento finale dell’esposizione, ma è e si identifica soprattutto con il momento della “gestazione”.
La ceramica per la maggior parte degli artisti invitati è totalmente sconosciuta. Si tratta soprattutto di artisti che solitamente usano altri media. Per questo una volta a contatto con la materia ne hanno quasi timore. Perché la ceramica impone dei limiti determinati dai tempi lunghi e dal fatto che rischia di rompersi; questi tempi e modi sono così lontani da quelli dell’arte contemporanea fatta di repentini spostamenti da una città all’altra, di un consumo sfrenato di vita, di artisti e di opere d’arte. Credo sia proprio questo ad affascinare i nostri ospiti: abituati a lavorare nelle più frenetiche metropoli del mondo arrivano in un piccolo punto sul Mediterraneo, e con rispetto si mettono in gioco.
La contemporaneità
Da quando stiamo assistendo a un alimentarsi di follia collettiva a livello planetario, questo progetto ha assunto per me connotati ancora più radicali. Viviamo l’affannato mondo del 2000, siamo in un perenne stato di inebriante confusione tanto che abbiamo persino disimparato a riflettere. Tutto ciò che è altro da noi ci distrae dalla nostra forsennata corsa, ma in questa continua rimozione cominciamo a temere ogni diversità. La velocità, frutto della globalizzazione ha anche connotati positivi se ci ha dato la possibilità di connetterci via Internet a costo quasi zero con persone provenienti da molte parti del mondo e di far giungere qui i nostri ospiti con un volo di poche ore. Tuttavia si tratta ancora di un privilegio per pochi, perché se la mobilità è facile per i capitali e l’informazione (almeno per quella che conviene divulgare) riguarda ancora un élite ristrettissima di esseri umani. Ogni cosa porta con se il suo contrario: e la mobilità a tutti i costi alimenta un senso d’ansia e precarietà da cui deriva la percezione di una costante minaccia. La paura rende ottusi, tanto da farci credere che la guerra scientifica contro le nostre inquietudini fatta con bombe intelligenti e azioni chirurgiche possa ridurre la fonte delle nostre ansie, scaturite da cambiamenti repentini e dalle diversità.
Proposte
A tutto ciò, il nostro progetto risponde proponendo la propria “Scala Umana”. Una Biennale fatta con pochi mezzi, dove i lavori proposti non richiedono un movimento di opere, ma un incontro vero tra esseri umani. Mi piace pensare a una pace che si configura qui attraverso la ceramica. L’anno scorso, quando a Genova imperversavano le violenze nei giorni del G8, il 21 luglio 2001, inauguravamo la I edizione della Biennale che abbiamo sottotitolato Il volto felice della globalizzazione perché vogliamo poter credere che sia possibile un altro mondo ricominciando a dare voce alla cultura. Questa Biennale vuole essere allora come una sorta di esperimento e offrire un’alternativa possibile. Ai tempi forsennati del contemporaneo, accostiamo i tempi lunghi che ci insegna la ceramica che sono anche quelli della riflessione intellettuale. Ipotizziamo un mondo non omologato in cui ci siano voci diverse, talvolta discordi o dissonanti. Perché è solo dall’apertura al confronto che si cresce. Attraverso la ceramica, questa zona diventa quindi un centro di discussione internazionale sul rispetto delle tradizioni locali ma anche di tutte le differenze. In questo modo la ceramica diventa il seme di un discorso che si allarga e porta a discutere di rispetto e quindi di pace.
Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.
Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea