Un dono inatteso
Young Chul Lee
L’arte contemporanea in Corea ha conosciuto una grandissima espansione, sia per quanto riguarda le istituzioni artistiche sia per quello che concerne il popolo dell’arte. Nonostante ciò è rimasta un ambito lontano dal grande pubblico e i dibattiti che si svolgono alla Biennale di Gwangju, alla Biennale di Pusan e a Media City a Seoul ruotano sempre intorno agli stessi vecchi argomenti. Questo problema origina atteggiamenti di diverso tipo. Gli amministratori statali e chi lavora nell’ambito dell’industria e del commercio pensano che la cultura debba innanzitutto contribuire all’incremento dell’economia locale. D’altra parte, gli artisti sostengono che cercare di contenere la velocità e il flusso di capitali difende l’ambito locale dalla tendenza all’uniformità culturale che si diffonde a livello globale. Benché lo spirito da cui sono animati alcuni dei sostenitori di questa posizione “localista” sia da apprezzare e rispettare, questa prospettiva è dannosa, oltre che erronea, poiché è basata su una falsa dicotomia tra globale e locale, dove il globale rappresenta l’omogeneità e l’indifferenziazione delle identità, mentre il locale preserva eterogeneità e differenze. Questa argomentazione contiene l’implicita assunzione che le differenze interne all’ambito locale siano in un certo senso naturali o, per lo meno, che le loro cause siano fuori discussione. Perciò, poiché le differenze locali precedono lo scenario attuale, devono essere difese e protette dalle intrusioni della globalizzazione.
Ritengo che la globalizzazione debba essere intesa come la combinazione tra due diversi sistemi di omogeneizzazione ed eterogeneizzazione, e non semplicemente come un processo di omogeneizzazione culturale, politica ed economica. Uno schema migliore, secondo il quale è possibile articolare i concetti di globale e di locale, prevede diverse reti con i loro flussi e vincoli. In tali reti, i vincoli e le frontiere in grado di “ri-territorializzare” hanno la priorità nei momenti e nelle prospettive locali, mentre il globale privilegia la mobilità del flusso che “de-territorializza”. In ogni caso, è sbagliato sostenere che un’identità esterna ai flussi globali del capitale e del dominio vada protetta da questi ultimi. In parole povere, località, tradizione e passato non sono necessariamente in relazione tra loro. Queste prospettive hanno a che fare con l’attraversamento delle frontiere, più che col concetto di luogo in senso geografico o con la distanza temporale. Come suggerisce Antonio Negri, “l’Impero” attuale controlla le identità ibride, le gerarchie flessibili e gli scambi multipli agendo sulla rete del potere. A livello globale, nel movimento post-moderno, la creazione di ricchezza, arte e cultura tende a quello che comunemente si definisce come la produzione di bio-politiche, vale a dire la generazione di vita in sé. In questa produzione, il momento economico, quello politico, culturale e artistico si intrecciano e si influenzano a vicenda. Nonostante l’Europa sia un canale geografico attraverso cui l’idea e la pratica “dell’Impero” si alimentano, i tentativi di resistenza e di effettiva ideazione di alternative, nonché lo scenario globale, non sono vincolati a nessuna regione geografica.
La ceramica può essere considerata un linguaggio particolarmente adatto, una specie di esperanto dell’espressione artistica. L’argilla, cristallo multiplo dalla struttura atomica irregolare, è facile da modellare ed è la risorsa di cui la terra è più ricca. È una “forma che respira”, contiene preziosi componenti inorganici e composti organici. Per rivitalizzare questa componente che soffia all’interno, la ceramica dovrebbe abbandonare quel genere di arte che si è sviluppata a livello professionale a partire dall’inizio dell’età moderna, per rifiorire come fonte di nuove idee e di pratiche in grado di cambiare la vita. La ceramica ha alimentato le tradizionali tecniche artigianali nei secoli e ora ha davanti a sé una nuova alba, come presenza multi-culturale dell’arte contemporanea. Il dato interessante è che, più che nell’arte, la ceramica viene utilizzata dalla tecnologia avanzata, a livello molecolare o atomico, nel campo della chimica organica. Anche se tutti parlano dei cambiamenti portati dalla rivoluzione rappresentata da Internet, la ceramica elettronica rappresenta l’avanguardia delle scienze materiali. Sul piano della sua struttura fisica, la ceramica non ha alcuna viscosità ed è vulnerabile a shock termici come la cottura e il raffreddamento rapidi. Tuttavia l’elettro-ceramica ha superato questa fragilità, si è affermata come il terzo materiale più importante dopo il metallo e la plastica, e viene utilizzata in diverse applicazioni come i resistori, le piastre dei circuiti e i magneti. Anche se forse questo nuovo materiale ceramico non sarà utilizzato per creare opere d’arte, la sua importanza funzionale può farci intravedere una nuova dimensione di produzione artistica diretta alla vita. La ceramica non è un materiale a cui il pubblico possa aggiungere la propria eco, secondo modalità diverse da quelle già espresse dall’opera reificata, ma sarà un mezzo per produrre la memoria storica e indurre una riflessione sui modi di vita correnti. L’arte è l’unico aspetto della società contemporanea in cui si dimostra palesemente che il lavoro pulsante e creativo non può essere circoscritto e misurato. Questa è anche la ragione per cui l’arte si trasforma in qualcosa di monumentale ed eroico. L’attività dell’artista di per sé assume un significato di insubordinazione e rivolta, aldilà delle tematiche politiche effettivamente affrontate. Nella fase di transizione al post-moderno, le principali trasformazioni del lavoro riguardano la mancanza di gerarchie tra attività intellettuale, mentale, fisica e non, e l’impossibilità di misurare le prestazioni in termini di tempo. Il fatto che gli artigiani possano abolire le discriminazioni del lavoro per mezzo di un rapporto orizzontale con gli artisti, del dialogo e di un contatto reale e non virtuale, affievolisce la distinzione tra professionisti e non-professionisti, istituzionalizzata con l’età moderna, e promuove ulteriormente il valore della cooperazione sociale e della produzione autonoma interna alla creazione artistica. Esperienze complesse come gli incontri intimi tra individui, gli scambi che si verificano in quei casi, il giudizio e l’errore nel processo del fare e la gioia della scoperta garantiscono un luogo invisibile per una produzione che avviene nel tempo, ma è estremamente concreta e in sé completa. In un luogo cosiffatto, la dicotomia tra locale e globale si dissolve per costruire un nuovo spazio in cui poter instaurare uno scambio di informazioni grazie a Internet e alle reti elettroniche globali.
È istruttivo il fatto che Roberto Costantino, che ha dato il via al progetto della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea, abbia utilizzato la metafora dell’arte di Lilliput contenuta nei Viaggi di Gulliver ed evocato la visione dei nani che catturarono Gulliver vivo. Di fatto, questa Biennale non soltanto esprime, ma organizza anche la globalizzazione dell’arte e lo fa moltiplicando e strutturando le interrelazioni tra le reti. Perciò, la Biennale canalizza il significato e le direzioni dell’immaginario che si muove lungo queste connessioni comunicative. In questo suo garantire allo spettatore una sociabilità di massa e una nuova uniformità d’azione e di pensiero, questa Biennale è un chiaro esempio dello spettacolo di cui parla Guy Debord. Resistere al capitalismo dell’evento, allo spettacolo prodotto “dall’Impero”, non è solo una questione di scala, ma di capacità di produrre arte in grado di creare qualcosa di vitale o, in un modo più modesto, una specie di potlatch secondo la tradizione degli indiani del Nord America. Oggi, le persone hanno dimenticato la pratica del dono. Nel migliore dei casi, si vende ciò che si vuole a un consumatore. Secondo un’adesione puramente formale alla filantropia espressa nel motto “per il pubblico, col pubblico”, la strategia manifesta della Biennale sarebbe simile a una sorta di carità amministrativa che cerchi di suturare la “ferita visibile” della società. La pura gioia di dare risiede nella sorpresa del dono e nell’ “immaginare” la felicità di chi lo riceve. Tuttavia, nelle esposizioni di oggi, “il crollo del dono” avviene occasionalmente, mentre i destinatari sono selezionati in base ai loro requisiti. Nell’espansione globale del capitalismo dell’evento e delle modalità strumentali digitali, si assiste a un deterioramento delle facoltà mentali analogiche. Il progetto di Albisola si presenta come un raro caso di cooperazione fra artisti di tutto il mondo e ceramisti locali, basato su uno scambio di doni incondizionato. Quando la cooperazione sociale e artistica sarà una precondizione, quando le nostre nude vite ci appariranno come una ricchezza virtuale, allora lo spettacolo del capitalismo dell’evento finirà. Ci aspettiamo una mostra in cui il lavoro, il gioco, la scoperta, la sorpresa e la gioia arriveranno insieme con le moltitudini.
Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.
Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea