I rilievi di una città mai fondata
Francesca Comisso
I Situazionisti non sono i soli a pensare a scenari mobili e temporanei. La mobilità è il paradigma fondante la critica al funzionalismo razionalista maturata nel corso degli anni ’50 e ’60. Si può citare il manifesto di Yona Friedman, Architecture Mobile (1958). Nel 1956 Ionel Schein realizza unità d’abitazioni autonome trasportabili in camion, le Cabine alberghiere mobili. Case-capsula, case-cellula, case-roulotte o case di cartone da bruciare dopo l’uso, come proponeva l’architetto francese Guy Rottier, l’habitat diviene un organismo votato “all’impermanenza”. Applicata al modello modernista della griglia, la mobilità ne confonde l’orientamento fino a capovolgerne il chiaro assetto topologico. È sull’asse che va dalla griglia al labirinto che si sviluppa la critica al purismo architettonico. Il labirinto, per usare una definizione di Mario Perniola “è lo specchio dell’errare conoscitivo”. In girum imus nocte et consumimur igni, recitava il titolo di un celebre film di Guy Debord. È ancora Debord a guidarci nella ricognizione di casa Jorn: “Ciò che è dipinto e ciò che è scolpito, le scale mai uniformi fra i dislivelli del suolo, gli alberi, gli elementi aggiunti, una cisterna, una vigna, i più diversi tipi di scarti sempre ben accetti, buttati lì in un disordine perfetto, compongono uno dei paesaggi più complicati che si possano attraversare in una frazione di ettaro e anche, alla fin fine, uno dei meglio unificati”. Un paesaggio complesso dunque, che del labirinto conserva tutti gli effetti spaesanti e le piccole sorprese nascoste. L’inserzione nella texture variopinta di un sentiero di una piastrella ceramica recante il numero civico di una strada, è insieme frutto di una deriva dei segni e dei percorsi che rimanda alle mappe urbane di Jorn e Debord. Nella casa di Jorn a Albissola la ceramica interviene sempre per frammenti e per scarti a rivestire di una nuova epidermide l’architettura preesistente. Questa pratica ha un preciso correlato linguistico e teorico nel détournement, definito quale “integrazione di produzioni attuali o passate delle arti in una costruzione superiore dell’ambiente”. È questo lo strumento con il quale i situazionisti escono dalla retorica avanguardista del “nuovo”. Ne sono esempio i piatti “malriusciti” — scarti di lavorazione — incastonati negli intonaci come medaglioni e circondati da altri elementi decorativi. Sui muri di casa Jorn ci si imbatte spesso in accostamenti e contaminazioni tra interventi pittorici e inserti oggettuali o materici, tra avanguardia e kitsch (la pittura murale ingloba l’inserimento ironico e detournante della statuetta di un marinaretto — ancora oggi in produzione presso la manifattura San Giorgio, dove Jorn ha realizzato i suoi più grandi lavori ceramici — nella nicchia domestica riservata a un’immagine votiva). Per ritornare alla metafora archeologica adottata da Debord, gli esempi segnalati sono frame discontinui, che fanno di questa casa un testo dalla lettura complessa, ricco di digressioni, stratificazioni di senso, citazioni. Avremo allora l’affiorare di rimandi formali all’iconografia CoBra, il depositarsi sulle pareti di materie trouvé (conchiglie, sassi, pezzi di ceramica) come accadeva per il palazzo del Facteur Cheval, mentre, a connotare i sentieri, si vede l’uso di materiali che ricordano Gaudì e le sue mirabolanti architetture, ma anche elementi che rimandano alla storia di questo territorio. Jorn era un attento studioso di cultura popolare e di tradizioni e si interessò anche a quelle di Albissola. Attraverso il frammento, Jorn ricostruisce una sorta di omaggio al genius loci accostando ceramiche create nell’antico stile di Savona, piatti di tradizione ottocentesca realizzati a spugnetta e oggetti di più moderna concezione. Nell’intervista del 1986 Gambetta racconta: “Portavo dalla fabbrica degli isolatori di scarto (...): li usavamo come colonnine, supporti”. L’impiego di questi oggetti rimanda a un precedente: negli anni ’20 in ambito futurista, l’architetto Piero Portaluppi impiega gli isolatori elettrici con la funzione di colonnine per la fabbrica di ceramica di Laveno. È un esempio significativo perché, in quegli anni, l’isolatore elettrico è un oggetto carico di suggestioni estetiche e dinamiche per la sua natura meccanico-industriale e per la sua forma plastica dinamica. A rilevare in casa Jorn il ruolo del “gioco” — altra parola-definizione situazionista — è ancora Debord, che sottolinea come la collaborazione di Umberto Gambetta nella costruzione della casa, apporti un elemento vicino all’idea di “gioco collettivo”, inteso quale sperimentazione permanente di novità ludiche e pertanto fondante la costruzione di situazioni. Le firme di Gambetta e Jorn a lato del camino sanciscono quel lavoro a più mani sperimentato e teorizzato da Jorn.
Per concludere riteniamo importante ripensare al destino che Jorn aveva desiderato per questa casa dopo la morte sua e di Gambetta. Jorn pensò a una casa museo, dove la memoria della propria storia e di quella di quanti la incrociarono fosse disponibile ai racconti delle generazioni future, e insieme a un luogo destinato a funzionare come residenza per artisti provenienti soprattutto dai paesi nordici. Nel futuro di questo progetto d’abitazione, vengono proiettate da Jorn due istanze: quella autobiografica e quella “esperienziale” di casa quale cornice di relazioni e accadimenti. Istanze che si rintracciano in molti dei progetti artistici “abitativi” contemporanei. L’augurio è che questo luogo possa tornare a essere la cornice ospitale e ospitante per la quale fu appassionatamente progettata.
Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.
Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea