Dalla terra proviene l’arte locale e universale
Nelson Herrera Ysla
La principale fonte d’ispirazione del fenomeno internazionale noto come boom della letteratura latinoamericana, scoppiato negli anni ’60, era l’attenzione per gli aspetti locali. Le storie erano ambientate nelle foreste, nei villaggi e nelle città dell’America Latina e usavano termini idiomatici e forme grammaticali proprie dello spagnolo parlato in Messico, Colombia, Perù, Argentina e Cuba. Proprio grazie al ricco modo di trattare ciò che è locale e regionale, la letteratura latinoamericana riuscì a ottenere un riconoscimento a livello universale. E la stessa cosa è accaduta negli ultimi vent’anni all’arte visiva della nostra regione. Tant’è che le opere che hanno suscitato interesse all’interno e fuori del continente americano non sono concepite per rivestire il ruolo dell’ “altro”, o per soddisfare le aspettative del mercato. Non vogliono nemmeno “imitare la vita” dell’America Latina, ma ripensarla da un punto di vista più intelligente e impegnato. Per ottenere questo risultato, gli artisti si appropriano di codici e supporti senza prendere in considerazione le origini di questi strumenti, mettono cioè in atto un’operazione di appropriazione, che ha una lunga storia nel nostro continente, e che oggi è il risultato di una nuova attitudine rispetto ai flussi di informazione emersi dalle relazioni che intercorrono tra culture e nazioni differenti.
La globalizzazione ha permesso di moltiplicare e di trarre il massimo profitto dal concetto di appropriazione, un principio apparso per la prima volta in America Latina negli anni ’20, in particolare in Brasile e a Cuba. A questo processo si deve aggiungere il fenomeno delle migrazioni che scuote il concetto di identità e di cultura nazionali e crea nuovi territori nella mappa delle culture egemoniche tradizionali e in quella dei paesi che producono migrazione. Come conseguenza di questi processi, in ambito latinoamericano si assiste alla formazione di una nuova avanguardia artistica che, in un difficile momento della nostra storia, esprime paradossalmente una forte vocazione per ciò che è locale o regionale. Gli artisti, ora, sono determinati a porre il loro personale punto di vista al centro di situazioni molto specifiche, forse come una risposta alla sproporzionata “internazionalizzazione” dei linguaggi. Ciò che è locale (qualcosa di più tangibile di ciò che è “nazionale” o “tipico”) è ora integrato da ciò che è regionale, in opere che riflettono sulla nostra situazione. Questo è vero dal Messico all’Argentina, come se in tutti questi paesi ci fosse una ricerca di un linguaggio comune, proprio come era già accaduto per lo spagnolo parlato. In questa nuova avanguardia è diffusa una coscienza più forte delle differenze che coesistono nella maggior parte dei nostri paesi e della diversità dei problemi che ci si trova ad affrontare. È sentita anche l’urgente necessità di esprimere tali problematiche senza dover per forza proclamare che si tratta di un’ “arte latinoamericana”. Alcune opere di questa nuova avanguardia guardano alla memoria collettiva dell’America Latina, altre ai drammi naturali, agli esclusi, al degrado urbano, alla violenza, alla dipendenza economica, cioè a tutti i diversi fattori che agiscono nei vari contesti. Perciò, quando ci troviamo di fronte a queste opere non è facile identificare l’artista che le ha realizzate o il paese di appartenenza, ma si può probabilmente riconoscere la loro origine regionale, il mondo a cui appartengono. Sono opere “prodotte” in America Latina, dall’America Latina. Altre opere agiscono su un piano ironico e rappresentano una sorta di “tendenza” che esprime come un rifiuto nei confronti di ciò che è stato storicamente legittimato ed “esportato” nelle mostre di tutto il mondo, nei libri, nei giornali e nei cataloghi a partire dalla metà del ’900, ed è diffusa soprattutto in Messico, Cile, Argentina, Brasile, Venezuela, Colombia e Cuba. Altre opere esplorano gli spazi domestici, le angosce, le speranze e tutto ciò che ci rende felici o tristi e ci permette di conoscere ciò che siamo stati e perché senza bisogno di fare appello a tematiche “alte”.
Se si considerano in modo realistico i cambiamenti occorsi nell’ultimo quarto di secolo, si nota che è generalmente condivisa la necessità di considerare la pluralità della cultura visiva in tutte le sue dimensioni, non solo quelle espresse da Stati Uniti, Europa e Giappone. Come cubano e latinoamericano, posso dire che storicamente abbiamo sempre avuto una grande consapevolezza di ciò che è universale: siamo stati allevati non solo con i nostri valori nazionali e regionali, ma anche con quelli della cultura europea e nordamericana. Inoltre, il fatto che all’arrivo dei conquistatori europei sul continente americano, esistessero civiltà complesse e innumerevoli gruppi etnici, ha fatto sì che a partire dal ’500 ci siamo abituati ad affrontare qualsiasi tipo di influenza. Nonostante il fatto che oggi rimangano soltanto alcuni resti fisici di queste antiche civiltà e popolazioni native, abbiamo una diversità sociale, linguistica, artistica, religiosa, abbastanza forte. Queste differenze ci hanno portato a un universalismo quasi innato, che oggi è parte intrinseca della nostra identità. Questo è il motivo per il quale dagli anni ’80, si è sviluppato in America Latina un movimento creativo in grado di liberare il significato culturale e spirituale di alcune espressioni e forme artistiche ancora viventi nel quotidiano delle nostre società. Mi riferisco alle opere che prendono in considerazione prodotti culturali genuini delle culture americane come il lavoro a maglia e la ceramica. Sono opere che testimoniano un senso di appartenenza, un nuovo significato del concetto di identità e una riaffermazione di progetti culturali legati al locale e al regionale, ma connessi anche con quello che è riconoscibile in altri spazi geografici quale linguaggio comune della terra, patrimonio di molti popoli e culture. È la natura che parla direttamente dall’origine del genere umano dopo molti anni di silenzio, provocato da un modo errato di intendere la tecnologia e il progresso scientifico che ci ha allontanato dalle nostre sorgenti essenziali di conoscenza e di apprendimento. Ora, invece, l’uomo e la terra sono di nuovo uniti in un dialogo fecondo.
In America Latina sono esistite diverse civiltà legate all’argilla. Gli antichi Maya hanno menzionato questo materiale nel loro testo principale, il Popol Vuh. Quasi novecento anni prima di Cristo, l’arte dei vasai era già praticata nel continente americano sulle rive del fiume Orinoco e in seguito si espanse a un grande numero di isole dei Caraibi. Con l’arrivo dei conquistatori, giunsero anche i primi torni per la ceramica e i primi forni in pietra e terra, mentre la Francia, l’Inghilterra e l’Olanda contribuirono allo sviluppo delle prime industrie locali e regionali nei loro scambi commerciali con le nostre città. Così ebbero luogo mutue appropriazioni e interrelazioni che diedero origine a un processo di ibridazione che continua tuttora, nonostante la moderna ossessione per i sostituti artificiali che mette a repentaglio i nostri legami tradizionali con la natura.
Non si potrebbe immaginare l’America Latina senza l’argilla. Quel rapporto diretto e profondo viene testimoniato da numerosi musei ed è fondamentale per il nostro patrimonio culturale, come il condor che domina le vette delle Ande e come l’Amazzonia. Originariamente di ispirazione zoomorfica, le forme della ceramica sono poi pervenute alla geometria e all’astrazione e sono state completate da precise caratteristiche policrome basate sulle tinture naturali, alla costante ricerca di un’ispirazione legata alla natura locale e alle tradizioni di ciascuna regione. Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, numerosi artisti del continente, in particolare la cubano-americana Ana Mendieta, hanno assimilato questo “ritorno alla Terra” e, in anni più recenti, a questa tendenza ha fatto anche seguito la nascita della Biennale dell’Argilla d’America, le cui prime due edizioni si sono svolte a Caracas e la terza in Brasile. Dal 1985 anche Cuba indice una Biennale di Ceramica a carattere nazionale, che ha il medesimo scopo di recuperare e rinnovare questa espressione artistica. Si può parlare di una rinascita dell’argilla in America Latina, poiché questo materiale oggi fa capolino nelle opere di artisti che appartengono a differenti generazioni e che utilizzano svariate forme espressive. Fotografi, incisori, artisti che realizzano installazioni e pittori sperimentano l’ibridazione di forme, materiali e strutture, come un modo per ricostruire la nostra eredità culturale, oggi frammentata, partendo dall’estrema libertà che caratterizza l’arte contemporanea e che fa sì che non ci siano limiti all’espressione creativa. In questo modo, l’argilla subisce trasformazioni, tra le quali vi è l’utilizzo del corpo umano stesso come parte di azioni plastiche performative vicine a riti ancestrali. Oggi, l’argilla ha trovato nuove dimensioni e ha assunto un ruolo guida, come all’inizio della nostra storia americana. Non si può dire che ci sia una tendenza predominante, nel modo di utilizzare l’argilla in America Latina (anche se a Cuba si dà una maggiore importanza della figurazione). Gli artisti la utilizzano come parodia del vasellame domestico tradizionale o per integrarla alle nuove tecnologie della comunicazione, oppure per creare nuove versioni di animali e di esseri umani, di case, di simboli sessuali e di rituali, in genere con una dimensione antropologica che distingue le loro opere all’interno della scena internazionale. Senza dubbio, comunque, si può ritrovare nelle opere ceramiche quell’aura poetica che è immanente alle opere d’arte genuine. Le opere in ceramica sono un contributo alla questione, così dibattuta, di quale sia il ruolo dell’arte nella vita dell’uomo e nel suo ambiente e rappresentano una nuova e diretta lettura della storia e della cultura, in cui l’oggetto è allo stesso tempo il soggetto, in un presente che conserva molto del passato e alimenta, amplificandole, le nostre speranze per il futuro.
Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.
Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea