La ceramica nell'arte contemporanea


Olu Oguibe



Il passaggio al ventunesimo secolo contrassegna un momento straordinario per la storia della creatività umana, poiché mai prima d'ora   gli artisti hanno avuto a propria disposizione una gamma così ampia di servizi, strumenti, strategie espressive o per manifestare la propria creatività. Dai primi mezzi conosciuti in arte come l'argilla, il gesso, il carboncino e la pietra, passando per la carta, la tela, i colori a olio fino ai più sofisticati strumenti elettronici e digitali, nel ventunesimo secolo non è più la scarsità di mezzi a disposizione a limitare l'artista, ma solo i confini della sua immaginazione e del suo talento. Oggi, l'artista non deve più
affaticarsi sulla pietra arrampicandosi su pareti rocciose, se non per sua scelta, e non è più ostacolato da impedimenti geografici di luogo o derivanti dal tipo di terreno, ora che il materiale più ingombrante può essere spostato, trasformato e modellato a distanza, o elaborato meccanicamente con l'automazione e con il trattamento digitale. Senz'altro, per i pittori che affrescavano le chiese di Roma, o per Cimabue e i suoi apprendisti, abituati a darsi da fare con la ruggine e l'olia vegetale per produrre i propri colori, il momento attuale sarebbe motivo di invidia, ma anche di disprezzo.
In ogni caso, se consideriamo la profonda sconnessione dell'arte contemporanea dal significato, nel passaggio al nuovo secolo (e qui intendo significato in quanto opposto a teoria, scaltrezza e abilità mercantile), appare in tutta chiarezza che l'abbondanza di mezzi e tecniche che caratterizza questa nostra epoca comporta un sacrificio, e il prezzo da pagare è quello della sensazione di una perdita crescente di comprensione e di identificazione con l'essenza proteiforme dei mezzi a disposizione. Che gli arti sti oggi conoscano le possibilità letterali dei loro mezzi, é fuori dubbio. Il fatto che essi ne siano affascinati, è fuori discussione. Ma anche se aumenteranno gli artisti privi di particolari  competenze nel maneggiare direttamente i mezzi prescelti, essendo sempre di meno quelli in grado di disegnare, mentre lavorare con i nuovi mezzi significa comunque ricorrere  all'aiuto di tecnici, pure resta un lieve dubbio riguardo la loro piena consapevolezza delle sfumature straordinarie di tali mezzi. Specie fra gli artisti più giovani, ciò che spesso non si mostra con evidenza, comunque, è la loro conoscenza e comprensione al di là della meccanica del mezzo, oltre il valore nominale del materiale prescelto. In altre parole, la sconnessione dal significato, ovvero dalla verità completa dell'opera, dalla sua sostanza, risiede e si manifesta proprio in questa assenza di affinità col materiale, al di là della sua efficacia logistica.
Ogni mezzo ha la sua verità complessa. La sua composizione fisica e chimica, la sua storia e la sua posizione nella storia dell'arte e delle idee,  le sue caratteristiche rispetto agli altri mezzi, la  sua risonanza metaforica, il modo in cui esso si impone agli artisti dettando le regole del proprio utilizzo, tutto questo insieme costituisce la sua specificità e unicità, e di conseguenza il suo significato, o scopo. In realtà, l'olio è diverso  dall'acrilico non soltanto perché asciuga prima, ma ancor più perché ogni mezzo é inestricabilmente ingarbugliato nelle maglie della storia, e ognuno implica e contribuisce a un intreccio testuale e strutturale a un tempo, al di là della sua mera consistenza chimica. 
La risonanza ctonia della grafite appartiene a un momento dell'evoluzione dell'uomo che non ha nulla a che vedere con i mezzi elettronici, e  nemmeno con la matita. La pietra denota un  intreccio di idee e riferimenti su cui si radica anche l'attaccamento del muratore nei suoi confronti. I pastelli a olio parlano a un ambiente e a una sensibilità diversi, rispetto ai colori a olio. Come mezzo, l'acquerello risuona entro una specifica gamma di significati che non può essere dissociata dal suo utilizzo in pittura e nel  disegno. Questi attributi e associazioni, che sono innati e al contempo extra-letterali, costituiscono la logica del mezzo e circoscrivono l'opera d'arte anche quando la esaltano. Il mezzo, perciò, è tanto un luogo del significato, quanto le strategie e i particolari della sua trasfigurazione in idea. E' un linguaggio, un sistema, un codice, ma anche un paradigma che contiene l'opera d'arte.
L'importanza dell'argilla, fra tutti i mezzi con cui lavorano gli artisti, è del tutto particolare. Essendo terra, è il più primitivo di tutti i mezzi non effimeri. A differenza della pietra o dell'acciaio, l'argilla è una forma che respira, costituita di materia viva e morta al medesimo tempo. La sua malleabilità ha qualcosa di magico che evoca proprio la natura della nostra genesi, il che forse spiega il motivo della sua scelta come proprio mezzo d'elezione da parte degli dei, stando alle leggende presenti in diverse culture. Quando l'artista maneggia l'argilla impastandola, modellandola, guardandola evolvere e indurire nella forma, prova qualcosa che il vasaio conosce bene: è l'eccitazione, e la sfida, della creazione, poiché dare forma a questa materia, così amorfa prima di essere portata all'essere, rende testimonianza della presenza di un creatore più alto. Una sfida esaltata dai numerosi processi attraverso cui deve passare l'argilla prima di diventare un vaso, e ancor più per il fatto che i risultati, dall'altra parte del percorso creativo, sono imprevedibili. Tra l'argilla vergine, l'impasto, il vaso, o l'oggetto, non ancora cotti e il prodotto finale c'è una strada lunga e infida, che di quando in quando presenta momenti frustranti, anche per il maestro più esperto del mezzo. A volte i vasi cadono e si rompono, oppure sfuggono degli errori e gli oggetti esplodono in frantumi nel fuoco infernale del forno. Nella mitologia Yoruba anche gli dei avevano preso questa brutta strada quando, nel corso della creazione degli esseri umani, produssero albini e storpi.
Un'affinità particolare ci lega all'argilla, se non altro perché è la terra a cui noi torniamo, se proprio non crediamo, come narra il mito, che sia il materiale con cui siamo stati creati. Forse, il fatto che i più grandi artisti vengano attratti dall'argilla in momenti particolari della loro carriera non è una coincidenza. E' accaduto a Picasso negli ultimi anni della sua vita, ai modernisti britannici nel ritiro di St. Ives, al cubano Wifredo Lam e agli artisti che hanno soggiornato ad Albisola, allo scultore africano El Anatsui in convalescenza nel nord dell'Inghilterra, all'artista pop Bridget Riley alla fine della sua carriera. L'artista sincero è attratto dall'argilla perché essa non è soltanto un mezzo, con le sue caratteristiche, ma anche un tramite verso la dimensione ctonia dello spirito e della costituzione umana. La natura terapeutica del lavoro con l'argilla è ben conosciuta da tutti coloro che la utilizzano abitualmente; ancor più, su un piano metaforico e psichico, l'argilla evoca proprio la nostra mortalità come esseri corporei e l'immortalità della terra. Questa risonanza psichica e figurativa a un tempo era stata compresa da tutte le culture antiche e sì è trasmessa ai più grandi artisti. La possibilità di riciclare l'argilla, polverizzando la ceramica in disuso nell'impasto per rinforzare l'argilla fresca e dare forma a un nuovo oggetto, evoca direttamente la natura ciclica del nostro viaggio su questa terra. Il tornio, le mani e le dita, la combinazione olistica degli elementi terra, acqua, aria e fuoco, l'assenza di asetticità e al suo posto la confusione, la carnalità e la sensualità dell'immersione manuale, i requisiti di pazienza e mutua sottomissione, per cui tanto l'artista è alla mercé del materiale, quanto quest'ultimo è alla mercé dell'artista, queste e altre particolarità della vocazione ceramica favoriscono chi cerca davvero quella profondità e quella comprensione, spesso assenti dalla pratica artistica contemporanea, nel passaggio al ventunesimo secolo.
C'è moltissimo da imparare dal tornio del vasaio: l'arte contemporanea sarebbe senza dubbio più ricca se facessimo attenzione a questa semplice verità.



Testo pubblicato nel catalogo della I Biennale di Ceramica nell'Arte Contemporanea “Il volto felice della globalizzazione”, Attese, Albisola (Italia), 2001.



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