Il design e l'innovazione della ceramica locale
Camera di Commercio di Savona
sabato 26 maggio 2012
A cura di François Burkhardt e Roberto Costantino
Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”, Camera di Commercio di Savona, sabato 26 maggio 2012. Fotografia: Mirco Ibba
Introduzione lavori
Luciano Pasquale, Presidente Camera di Commercio, Savona
Relatori
Cecilia Chilosi, Storica dell'arte
Luca Scacchetti, Architetto e designer
Francois Burkhardt, Storico del design e delle arti applicate
Alberto Alessi, Presidente Alessi spa
Carlo Amadori, Organizzatore di manifestazioni fieristiche
Roberto Costantino, Direttore Attese Edizioni
Interventi
Franco Orsi, Sindaco di Albisola Superiore
Mariano Cerro, Direttore Confartigianato, Savona
Paola Gambaro, Docente Facoltà di Architettura, Genova
Niccolò Casiddu, Docente Facoltà di Architettura, Genova
Massimo Trogu, Docente Liceo Artistico “Arturo Martini”, Savona
Ernesto Canepa, Presidente Associazione Ceramisti di Albisola
Tullio Mazzotti, Ceramiche Giuseppe Mazzotti 1903
Da sinistra a destra: Luciano Pasquale, Alberto Alessi. Fotografia: Mirco Ibba
Luciano Pasquale
Presidente Camera di Commercio di Savona
Questo convegno è nato nell'ambito del Festival della Maiolica che viene organizzato da molti anni per celebrare e valorizzare la lunga tradizione artistica della ceramica albisolese e savonese che, come è noto a tutti, vive un momento delicato.
I maestri ceramisti hanno avuto e hanno ancora grandi soddisfazioni dal punto di vista artistico e artigianale, un po' meno dal punto di vista commerciale.
Considerato che siamo conosciuti come distretto del vetro e della ceramica, vogliamo capire se è possibile dar vita a un'iniziativa che punti a generare un cambiamento di prospettive, rilanciando la produzione e valorizzando le elevate potenzialità che il prodotto ceramico, secondo la nostra valutazione, può ancora esprimere.
Se ci sarà qualcuno che deciderà di seguire con noi questa prospettiva di cambiamento, potremo entrare in una fase progettuale e verificare se la ceramica di Albisola può diventare una delle componenti manifatturiere di grande qualità del nostro territorio, come è stata in passato, ovvero se vogliamo andare avanti, oppure se ci rassegniamo a un declino inarrestabile.
Ringrazio i relatori, Alberto Alessi, Carlo Amadori, Francois Burkhardt, Cecilia Chilosi, Luca Scacchetti e, infine, Roberto Costantino a cui ho chiesto di presentare le immagini di un esperimento che è stato fatto sotto la spinta e le indicazioni della Fondazione De Mari. Si tratta di un primo tentativo, a livello locale, di utilizzare le capacità artigianali esistenti sul territorio e di metterle in relazione con il design. È stato realizzato un numero molto elevato di opere e prototipi che sono state esposte in ambito nazionale ed internazionale, compreso il Salone del Mobile di Milano. Questo esempio ci conferma che anche qui si può fare qualcosa, però un conto è fare dei prototipi e un conto è entrare nella produzione.
Considerando che abbiamo da valorizzare le nostre qualità produttive oltre che le nostre tradizioni, la Camera di Commercio è disponibile a provare a creare, in collaborazione con gli artigiani interessati e con uno strumento nuovo come la “rete d'impresa”, una massa critica di capacità produttive e commerciali tali da poter rispondere alle esigenze del mercato.
Cecilia Chilosi, Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”. Fotografia: Mirco Ibba
Cecilia Chilosi
Storica dell'arte
Il desiderio che, anche per il futuro, Savona e Albisola possano continuare a legare il loro destino a quello della ceramica, nasce dalla constatazione di una tradizione che si è ininterrottamente manifestata per più di sei secoli. È questa storia che giustifica la pretesa che alla crisi attuale possa fare seguito una ripresa, secondo quanto si è sempre verificato in questo territorio dove, a periodi di declino, nel corso del tempo, si sono costantemente avvicendati altri di maggiore competitività. Perché, nei momenti di grave crisi produttiva –determinata dal variare del gusto, della committenza, dei mercati - le manifatture locali hanno sempre risposto adeguando i propri repertori e le proprie tecniche, dando vita a quella ricchezza polifonica di forme e di decori che caratterizza la grande qualità della nostra ceramica.
Ritengo quindi che la conoscenza del passato sia preliminare a ogni ragionamento sul futuro, non per una mera riscoperta di tipo archeologico, che non avrebbe nessun significato, ma perché è dalla consapevolezza della nostra storia che si può ripartire per rinnovamento.
Ciclo storico della ceramica del territorio savonese (secoli XIII – XVIII). Elaborazione grafica: Alessandra Gambaro
Il grafico che qui si pubblica, che riporta nelle ascisse le periodizzazioni cronologiche e nelle ordinate il variare di tipologie e tecniche, dà la misura di quello che è stato lo svolgersi di questa storia, che si configura, come si può notare, secondo il susseguirsi di onde dall'andamento sinusoidale nel loro complesso costanti.
Le curve di flusso partono dal tardo Medioevo, quando Savona era uno fra i più importanti centri produttivi del Mediterraneo, insieme a Pisa e Marsiglia e proseguono con la precoce affermazione della maiolica.
La sinusoide blu accompagna la fase che va dal Quattrocento fino al XVIII secolo, contraddistinta dall'utilizzo della maiolica -un rivestimento che vuole imitare la lucentezza della porcellana- come supporto per lo sviluppo di differenti stili, talora in successione, altre volte in sovrapposizione tra loro, che si sono sviluppati ricevendo influssi fondamentali da un contesto globale.
Nel Quattrocento la nostra produzione di piastrelle da rivestimento parietale e pavimentale, i cosiddetti laggioni, viene incentivata da una edilizia che integra nella propria struttura questo tipo di parato. I motivi decorativi aniconici che caratterizzano queste piastrelle provengono dal mondo islamico, attraverso la mediazione della Spagna, componendosi anche con elementi figurati tratti dalla cultura rinascimentale.
La produzione di laggioni si sviluppa dal Quattrocento fino alla prima metà del secolo successivo, poi decade completamente, perché viene a mancare l'interesse commerciale: i muri delle grandi magioni dell’aristocrazia non vengono più rivestiti con le piastrelle - è il momento della grande decorazione barocca - bensì con stucchi, arazzi, affreschi e marmi.
A questo punto arrivano nuovi influssi, ancora una volta dall'esterno, a dare nuovo impulso alla produzione della nostra ceramica. Con i portoghesi prima e quindi con la compagnia delle Indie, giunge in Occidente dalla Cina la prestigiosa porcellana; ispirandosi ai modelli orientali realizzati per l'esportazione, durante il regno dell'imperatore Ming Wan-li, i nostri ceramisti realizzano questi decori in maiolica (orientalizzante naturalistico, a tappezzeria, a risparmio).
Nella pienezza del nostro secolo d'oro, il Seicento, seguendo l'influsso della grande pittura genovese, si sviluppa la produzione istoriata barocca che renderà celebri i nomi di Savona e di Albisola sui mercati internazionali. L'elevata diffusione di questi manufatti è testimoniata dal loro ritrovamento in ogni luogo nel mondo, dall'Europa all'Africa, al Nord e al Sud America.
Piano piano però cambia il gusto e nel corso del Settecento, dopo secoli di grandeur, assistiamo al decadimento della maiolica.
Gli stabilimenti di Savona sanno esprimere la volontà e la capacità di riconvertirsi adottando, negli ultimi decenni del '700, l'uso della terraglia con una produzione di vasellame neoclassico all'uso inglese, destinato ad assecondare i gusti della buona borghesia imprenditoriale e di piccole sculture da tavolo, su modello tedesco e francese, per le mense principesche, come quelle dei dogi genovesi e dei Savoia.
Ciclo storico della ceramica del territorio savonese (secoli XIX – XXI). Elaborazione grafica: Alessandra Gambaro
All'inizio dell'Ottocento, Albisola invade il mercato mondiale con una produzione vastissima - milioni di pezzi di piatteria e di pentolame-, creando dei modelli ancora di grande appeal per il gusto di oggi: le ceramiche popolari, la nera e la tache noire della fine del Settecento e, nel corso dell'Ottocento, la ceramica gialla. Con questi modelli dominanti si arriva alle soglie del secolo successivo, il Novecento, che segna una vera frattura con la storia precedente. Il focus della novità si sposta dalla produzione di vasellami, appuntandosi sulle diverse manifestazioni dell'espressione artistica.
Dopo un breve periodo liberty, Manlio Trucco, reduce dal soggiorno parigino di lavoro presso l'Atelier Martine, importa ad Albisola lo stile dèco. Saranno soprattutto Tullio e il fratello Torido Mazzotti a far arrivare, nel periodo tra le due guerre mondiali, linfa nuova ad Albisola, invitando a lavorare nella loro fabbrica grandissimi artisti provenienti dalle centrali futuriste di Torino e Milano.
All'interno delle onde sinusoidali che corrispondono al secolo XX, è compreso lo sviluppo di molteplici tecniche – rinasce la maiolica con lo storicismo, abbiamo lo sviluppo del decoro sottovetrina nel dèco e si registra una vera e propria rivoluzione con l' immissione dell'arte nel mondo della ceramica. Terminata la straordinaria esperienza del secondo futurismo, Albisola conosce una nuova stagione strepitosa: quella dell'informale. A partire dal 1954, gli artisti vengono accolti dalla locale rete di manifatture che fa loro da supporto mettendo a disposizione la loro notevole capacità artigianale.
Arrivati dunque al secolo XXI la domanda che si pone è: Quale futuro per la ceramica?
Luca Scacchetti, Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”. Fotografia: Mirco Ibba
Luca Scacchetti
Architetto e designer
Quello che mi preoccupa dell'ultimo grafico di Cecilia Chilosi è che la ceramica di Albisola stia precipitando in un abisso senza fine, ma siamo qui a cercare delle soluzioni alternative a un destino che non vogliamo sia segnato.
Con i rivestimenti pavimentali e parietali, i servizi da tavola e la straordinaria relazione con l'arte nel dopoguerra, nel corso dei secoli c'è sempre stata una corrispondenza fra chi produceva e chi usava. Il problema è che si è interrotta una sorta di continuità, che c'era sempre stata, fra la ceramica e la Weltanschauung, l'idea del mondo. Albisola, comunque, rimane una terra di ricerca sulla ceramica e non c'è un luogo in Italia che abbia più legittimità a essere una sorta di laboratorio sperimentale, anche economicamente attivo, su questo fronte.
Sono convinto che ci sia ancora la possibilità, per Albisola, di affermare la propria eccellenza produttiva, però dobbiamo tutti guardarci in faccia e, quando dico tutti, intendo in primo luogo i ceramisti che devono intraprendere, anche con tentativi azzardati. Non si può attivare una produzione ingenua che è un rifacimento storico prossimo al souvenir e poi lamentarsi della contrazione di un mercato che precedentemente era di qualità.
Albisola deve diventare appetibile per i giovani, ma non è pensabile che un giovane vada in una bottega a rifare le forme settecentesche. Pensate, invece, se ogni bottega diventasse un collegamento di rete anche con la scuola, attraverso i meccanismi dell'apprendistato, in cui entrano professionisti, come ad esempio Burkhardt, che discutono con gli allievi e i ceramisti, per una crescita che deve essere collettiva.
Ad Albisola le botteghe sono fatte di pochissime persone e sono disperse sul territorio: questa sovrapposizione fra territorio e produzione è una caratteristica straordinaria se pensata con i sistemi attuali della rete, dei sistemi informatici, dei sistemi di vendita che vanno tutti guadagnati a vantaggio della ceramica. Si tratta, però, di portare ad Albisola, per rilanciarla, non solo l'arte ma anche il design. Un pezzo di design, anche se a tiratura limitata, deve fare i conti con un gusto medio con cui invece l'arte non deve misurarsi. Questa doppia apertura, verso l'arte e il design, potrebbe rimettere in gioco tutto, purché sia anche rivolto ai giovani e alla scuola. Anche questo, però, non basta: le botteghe si devono aprire al marketing, alla comunicazione, a sistemi di vendita alternativi. In Europa esistono ormai dei mercati straordinari, legati alle gallerie, di tirature limitate, design d'autore.
Le mie parole vogliono essere un suggerimento, in primo luogo, rivolto a noi designer, perché c'è un problema molto grave in Italia. Negli ultimi trent'anni, l'oggetto di design è stato importante in quanto il designer veniva riconosciuto come un autore.
Il design italiano sembra essersi dimenticato che la sua straordinarietà è legata all'idea del made in italy, agli elementi della tradizione e ai caratteri identitari di una terra.
Se i designer diventassero viaggiatori attenti a cogliere alcuni caratteri del territorio – questo vuol dire progettare, questo vuol dire cambiare le cose –, se noi tutti cambiassimo un po', forse una possibilità per Albisola ci sarebbe.
Francois Burkhardt, Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”. Fotografia: Mirco Ibba
Francois Burkhardt
Storico del design e delle arti applicate
Ho scelto un tema che mi sembra centrale, che è quello della relazione fra design e artigianato.
Quando parliamo di design, ci riferiamo a un mestiere che è legato allo sviluppo della storia dell'industrializzazione e quindi nel rovescio è sempre presente lo sviluppo del mondo industriale. Quando parliamo di artigianato, invece, incontriamo un altro mondo e una delle difficoltà sta proprio nel mettere assieme questi due mondi.
Nel campo del mobile, l'artigiano è stato recuperato e messo in fabbrica, ed è l'attore principale. Sono andato a visitare la Cassina, dove il lavoro degli artigiani fa la qualità del prodotto. Ma quello nel campo del mobile è un processo che prosegue ormai da quarant'anni ed è arrivato al risultato per cui l'artigiano, se non è entrato in quel circuito, è stato emarginato. Con questa immagine voglio semplicemente rendere chiaro che c'è un processo che si chiama design, che è molto di moda perché oggi tutto è design. Di fronte a questo, l'artigiano però può anche avere la preoccupazione di salvare il proprio mestiere.
Lo storico Nikolaus Pesvner, che è un celebre storico inglese, afferma che “il designer è un creatore che non esegue ciò che ha ideato in vista della sua realizzazione industriale”. Mentre Vittorio Fagone scrive che "l'artigianato è un processo che ricompone in uno schema unico, ad opera della stesa persona, momenti singolari del progetto realizzato". Se mi occupo di artigianato è perché penso che lì ci sia un savoir-faire che è assolutamente da sostenere.
Dovete sempre tenere presente che il designer viene da un mondo completamente diverso da quello dell'artigianato. Bisognerebbe arrivare a una specie di discorso comune, per cui il prodotto che nasce dalla collaborazione fra il designer e l'artigiano non è più un oggetto di design, non è un oggetto di artigianato, ma una sorta di prodotto ibrido che contiene entrambi gli aspetti.
Ora, una delle questioni principali è che il designer deve avere la capacità di dialogare con l'artigiano, altrimenti quest'ultimo si degrada al ruolo di operaio e questo bisogna assolutamente evitarlo, tentando invece di valorizzarlo.
Un problema che ho incontrato in differenti campi dell'artigianato è il peso della tradizione sulla storia che prosegue. In molti dei mestieri, soprattutto in Italia con la tradizione storica che avete, questo peso della tradizione si esplica attraverso la ripetizione e la copia dell'oggetto storico.
Vorrei comunque dare una speranza a quelli che sono ancora legati alla tradizione della produzione, perché non è detto che un prodotto che ritorna alle sue radici storiche non sia anche una possibilità da rivalutare nella modernità.
La teoria del regionalismo critico, dello storico dell'architettura Kenneth Framton, ci ricorda che ognuno è legato alle proprie radici, però bisogna che questa tradizione sia anche in grado di recuperare l'evoluzione della società di oggi. Posso citare al riguardo un caso abbastanza conosciuto qui in Italia: la produzione dell'architetto Portoghesi che ha lavorato negli anni Sessanta sul revival del barocco, riuscendo però a riattualizzarlo. Questo approccio richiede una grande conoscenza della storia, un grande sforzo intellettuale da parte dell'artigiano e del designer. A questo proposito, penso anche al rapporto bellissimo fra un artigiano, Aldo Londi e un designer, Ettore Sottsass.
Sottsass mi raccontava che, quando andava alla Bitossi a lavorare, passava notti intere a discutere con Londi, prima di cominciare a progettare. Se guardiamo all'evoluzione di Sottsass sulla fine degli anni cinquanta, ci accorgiamo che ha approfittato dei consigli e della pratica di Londi, perché il designer lavora sulla conoscenza dei processi di produzione e tenta di innovare il prodotto anche attraverso gli impulsi che gli dà l'artigiano. Questa unità di intenti è uno degli obiettivi più difficili da perseguire nel rapporto di collaborazione fra designer e artigiano.
Non abbiamo ancora trovato un designer specializzato nel settore dell’artigianato. Il design è legato al sistema economico dominante e questo, generalmente, ci porta a dimenticare il rapporto fra design e artigianato. Io invece ho fiducia nella possibilità di poter arrivare al design attraverso l'artigianato, attivando una formazione contraria a quella che oggi fanno le facoltà di design.
Avete avuto negli ultimi anni, qui ad Albisola, un laboratorio di prototipi, la Biennale della Ceramica. Purtroppo, non avete riconosciuto la straordinarietà di quello che è stato fatto e questo laboratorio ad Albisola non è stato sostenuto adeguatamente. Posso solo sperare che questo sforzo continui, anche aldilà della Biennale, e che ad Albisola cresca un modello nuovo di cooperazione fra artigianato e design.
Alberto Alessi, Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”. Fotografia: Mirco Ibba
Alberto Alessi
Presidente Alessi spa
Mi sento come un medico chiamato al capezzale di un malato che sta piuttosto male. La diagnosi sembrerebbe relativamente semplice da fare, invece la cura è un po' più complicata.
Bisogna rilevare che in Europa c’è una crisi epocale per quanto riguarda le manifatture tradizionali nell'ambito di quello che i francesi chiamano l’art de la table, le arti decorative, la porcellana, i metalli, il cristallo ecc. Ci sono quantità di aziende che hanno fatto la storia della qualità della produzione europea per secoli e che oggi sono chiuse o sono già morte in termini economici, anche se apparentemente vive. Soprattutto nel nord Europa, ci sono delle tradizioni splendide che sono tenute in piedi da Fondazioni, oppure cercano di sostenersi con tutti i mezzi che hanno a disposizione. La situazione è drammatica ed è conseguente al fenomeno della globalizzazione.
Oggi sui mercati europei circolano prodotti – per altro di buona qualità- a prezzi molto bassi, con cui una produzione locale ed europea non può competere. Gli unici segmenti che si salvano sono i segmenti medio-alti e alti, ma è chiaro che non si parla più di produzione industriale vera e propria, di grande serie, ma di una produzione ambigua quando non decisamente artigianale. Qui ci sono degli spazi molto interessanti per una produzione europea.
Tutto questo è successo per assenza di una qualsiasi politica industriale volta a mantenere questi savoir faire, che è proprio un peccato immaginare che debbano sparire dal volto dell'Europa, come sembrerebbe il loro destino.
Per quanto riguarda la storia da cui provengo io, la storia dell'azienda Alessi, noi arriviamo da un polo specializzato da circa trecento anni nella produzione di piccoli oggetti in metallo per la casa - è il casalingo omegnese. Omegna è sul lago d'Orta, vicino al lago Maggiore, a circa cento chilometri a nord di Milano. Lì si è sviluppata tre secoli fa questa tradizione che ha creato, a partire dagli anni Cinquanta, delle vere e proprie industrie del casalingo. Anche Omegna non fa eccezione ed è stata travolta dalla crisi. Tanti nomi storici del casalingo omegnese, che sono stati dei leader nella produzione italiana ed anche europea, oggi non esistono più – è il caso di Calderoni, produttore di metallo argentato, o di Girmi, produttore di piccoli elettrodomestici -, oppure sono stati venduti ad aziende molto più grandi e la produzione è stata trasferita – è il caso della Bialetti, produttore della piccola caffettiera espresso o della Lagostina, produttore leader, dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, di pentolame. Di questa produzione del casalingo omegnese ormai sarei io l'unico sopravvissuto.
Uno dei motivi per cui siamo sopravvissuti è sicuramente l'ambiguità che ha sempre caratterizzato la struttura produttiva della nostra fabbrica, che non è né un'azienda industriale di grande serie e neppure un laboratorio di artigianato, bensì qualcosa di intermedio che consente di accogliere dai designer progetti con un grado di difficoltà realizzativa che un'industria di produzione di grande serie, ad esempio cinese, non sarebbe in grado di affrontare. Questo tipo di evoluzione dello stato dell'arte della lavorazione è stata una delle ragioni della sopravvivenza della mia industria.
Alessi è una delle aziende che rappresentano il fenomeno delle fabbriche del design italiano. Queste fabbriche del design italiano sono poche decine di industrie che si sono sviluppate nel dopoguerra, in ambiti produttivi quali l'arredamento, l'illuminazione e l'oggettistica, sono tutte di piccola o al massimo di media dimensione e sono collocate in un raggio di cento chilometri intorno a Milano, con pochissime eccezioni. Queste aziende lavorano con i migliori talenti del design - che una volta era italiano - e in questo momento sono i migliori partner per i migliori designer di tutto il mondo. Dobbiamo però essere consapevoli che noi non ci rivolgiamo alla massa, ma a nicchie di mercato.
La globalizzazione ha messo a disposizione, di tutti, gli strumenti per raggiungere i mercati di tutto il mondo. Ora i mercati sono sempre più segmentati e ci sono strumenti che consentono di raggiungere, con una precisione sorprendente, il tipo di destinatario che noi immaginiamo per i nostri prodotti.
Raccontandovi questa storia, devo anche sottolineare che si tratta di una partita giocata su un piano molto elevato. Il nostro successo è esclusivamente dovuto al fatto che c'è stata una selezione fortissima, in base alla quale i progetti che sono stati editati risultano essere il meglio che sia possibile trovare a livello internazionale. Questa selezione è sicuramente possibile, ma bisogna essere consapevoli che non può essere spontanea e che non avviene facilmente. Tuttavia è a disposizione di tutti, purché esista un sostrato materiale che corrisponda a una organizzazione produttiva in grado di offrire un certo livello di qualità. Questo risultato non si ottiene se non c'è, oltre al talento produttivo, anche la passione. Si può tentare di curare il malato, ma il malato lo deve volere.
Carlo Amadori, Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”. Fotografia: Mirco Ibba
Carlo Amadori
Organizzatore di manifestazioni fieristiche
Quando ho avviato il progetto ”Abitare il Tempo” a Verona, la volontà della Fiera era molto forte, però bisogna considerare che la Fiera allora aveva trentasette padiglioni - praticamente la terza Fiera nazionale –, ma erano in ristrutturazione, per cui di padiglioni disponibili ce n'erano solo quattro. Io proposi di fare una parte commerciale molto piccola – contenuta soltanto in un padiglione – e che tre padiglioni fossero dedicati alla ricerca e alla sperimentazione. Si trattava di un progetto rivoluzionario, che puntava al massimo del livello qualitativo, il che vuol dire essere selettivi e procedere per inviti.
Nei primi anni non c'era verso di smuovere il mondo industriale verso Verona, quindi puntai sull'unica possibilità concreta: l'artigianato. Abbiamo lavorato sui poli dell'artigianato nazionale, quelli del legno in particolare, poi, via via, con tutti gli altri, ad esempio il vetro di Colle Val d'Elsa, di Murano, l'alabastro di Volterra, la ceramica di Faenza, Caltagirone, Nove.
Volevamo portare le esperienze locali alla Fiera per cercare di mettere in contatto queste realtà artigiane con i progettisti e gli artisti. Il Padiglione che diede la spinta più forte coinvolse il mondo dell’arte, in particolare la Biennale di Venezia che in quel momento era dedicata alla cosiddetta “Arte Colta” e il cui Presidente, in quell'anno, era Paolo Portoghesi.
Ho avuto la presunzione di chiedere a Paolo Portoghesi di portarmi gli artisti della Biennale di Venezia a Verona, in un padiglione che allora era fatiscente, e gli artisti della Biennale hanno esposto un mese prima di Venezia a Verona. Questo voleva dire che, se gli artisti allora si ispiravano al passato, e ciò aveva un senso nel presente, a maggior ragione anche gli artigiani potevano prendere ispirazione dal passato, ma non come elemento su cui fermarsi.
In dieci anni c’è stata un’evoluzione del mercato e anche delle aziende per cui il successo economico è stato straordinario. Erano altri tempi, oggi purtroppo la realtà economica è diversa e quindi tutto sarà più difficile, però questa è un'esperienza che è stata fatta lavorando molto e puntando sulla qualità.
La fiera rappresenta ancora, nonostante Internet, l'unica possibilità, a un costo contenuto, per arrivare al mercato. Però, per arrivare al mercato, bisogna creare un'identità aziendale in modo che questo marchio sia recepito da chi visita la fiera. Soprattutto, bisogna appartenere a un contesto, a un polo e in questo Albisola e Savona hanno una storia. Le aziende però non devono avere paura di sentirsi vicine ai propri “concorrenti” locali, perché non sono tali. Il “fare squadra” deve essere considerata una necessità assoluta, soltanto un polo artigianale arriva a determinare la possibilità, comunque difficilissima, di arrivare a incidere sul mercato, perché uno da solo, per quanto bravo, difficilmente riesce a trovare una collocazione.
Dopo dieci anni, abbiamo iniziato a pensare al tema della distribuzione del prodotto. Sappiamo che ora la grande distribuzione sta prendendo il sopravvento e che i negozi stanno vivendo un momento difficile. Vent'anni fa i negozi di arredamento in Italia erano trentamila e oggi siamo scesi a dodicimila. In Germania sono settemila. Quindi qui in Italia i negozi, purtroppo, dovranno diminuire ancora. Anche questo è un aspetto non trascurabile.
L'anno scorso ho realizzato il progetto “Abitami” nell'ambito di Macef. Questo progetto voleva segnare una svolta e un rilancio, perché anche il Macef, che è l'espressione italiana più importante sul piano internazionale, sta subendo delle compressioni di mercato, come tutto il sistema.
A breve mi occuperò anche di esportare all'estero le manifestazioni di arredamento italiane, gestite dalla Fiera. Questo dovrebbe portare il prodotto là dove c'è il mercato, ma a tal fine bisogna fare squadra, essere un sistema.
Il Presidente della Camera di Commercio mi sembra molto motivato e se riuscirete a stare uniti, una volta determinate quelle premesse che i miei predecessori hanno illustrato, si potrebbe dare una svolta e uno sguardo all'orizzonte in termini di concretezza.
Roberto Costantino, Convegno “Il design e l'innovazione della ceramica locale”. Fotografia: Mirco Ibba
Roberto Costantino
Direttore Attese Edizioni
Farò scorrere velocemente delle immagini che illustrano le attività del Laboratorio interdisciplinare di progettazione e prototipazione che siamo riusciti a sviluppare in ambito locale.
Il nostro Laboratorio di progettazione e prototipazione si pone l'obiettivo di affrontare la costruzione di un futuro per l'artigianato artistico, recuperando e attualizzando i secolari scambi produttivi e culturali che su scala interregionale e transnazionale hanno caratterizzato, per necessità materiale e curiosità intellettuale,la filiera della ceramica di Albisola. A questo fine, il Laboratorio interdisciplinare di progettazione e prototipazione di Attese ha investito in un'edificante network translocale, incorporando nella terra beni immateriali, quali il design, l'arte contemporanea e l'artigianato digitale, attraverso la combinazione delle tradizionali prassi sapienti delle botteghe artigiane con le più avanzate tecniche high tech, tipiche dei processi di produzione industriale.
Negli ultimi sei anni abbiamo collaborato con oltre trenta artisti e designer. Si tratta in molti casi di maestri del design, che hanno reso famoso nel mondo il made in Italy, e di artisti, che rappresentano l'arte italiana in ambito internazionale.
Abbiamo avuto modo di svolgere questa attività grazie al sostegno, in ambito locale, della Fondazione De Mari, ma anche grazie ad altre istituzioni che siamo andati a ricercare all'estero. Ad esempio, negli ultimi anni abbiamo trovato il sostegno dell'Istituto Italiano di Cultura a Madrid dell'Ambasciata d'Italia in Spagna e del Mudac, il Museo di Design e Arti Applicate Contemporanee di Losanna. Si tratta di istituzioni che hanno creduto a quello che stiamo facendo e con cui abbiamo potuto promuovere il nostro lavoro.
Sul territorio abbiamo lavorato con modellisti, prototipisti, formisti, tornianti, decoratrici, aziende high tech e con moltissimi studenti della Facoltà di Architettura di Genova con cui abbiamo prototipato oltre ottanta progetti.
La sorpresa più bella è stata la serie di effetti collaterali che questa prototipazione ha scatenato: dal 2007 ad oggi siamo riusciti, in ordine sparso, a presentare questi prototipi in una trentina di esposizioni in ambito internazionale, ad esempio, in moteplici occasioni alla Triennale di Milano, al Museo Nazionale della Ceramica di Sevres e al Design Museum di Helsinki.
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Franco Orsi
Sindaco di Albisola Superiore
Noi abbiamo una gravissima emergenza occupazionale. Se guardiamo la storia recente di Albisola Superiore e la produzione della ceramica, non soltanto quella artistico-artigianale ma anche quella industriale, trenta anni fa in questo comparto erano occupate circa cinquecento persone, in una cittadina di poco più di diecimila abitanti. La ceramica era quindi una componente fondamentale. Oggi registriamo la crisi di tutte le componenti legate alla manifattura ceramica. Per quanto riguarda la crisi della componente industriale, abbiamo un cadavere ancora caldo, per usare un termine esplicito, ed è la Fac, produttore di tazzine in quantità industriali, con centoquaranta dipendenti che ora sono in cassa integrazione.
Le realtà produttive artigianali nella loro stagione migliore hanno avuto una compenetrazione con l'arte che le ha arricchite, contribuendo a definire quello che si presentava come un brand legato alla provenienza albisolese e che ha fatto la fortuna delle varie produzioni.
Ora, non sappiamo se ci siano le condizioni per il ritorno della produzione manifatturiera in tutte le sue espressioni nel vecchio continente, ma nella ricerca di quali siano le peculiarità e gli asset che possiamo esprimere, la storia della ceramica albisolese è un elemento che la rende comunque unica nel panorama culturale. A partire da questa constatazione, si può costruire una filiera di produzione nell'illusione che possa divenire nuovamente una realtà e che il prodotto in ceramica realizzato ad Albisola possa avere un'attrattiva maggiore rispetto a quanto prodotto altrove.
L'affermazione che la Biennale della Ceramica non sia stata sostenuta adeguatamente la condivido anche io, pur rappresentando potenzialmente una linea alla quale corrisponde un mercato, quello del design.
Come ricordava Alessi, quando si parla di mercato globalizzato la nicchia è un segmento gigantesco, ma occorre partire sapendo che questa opportunità economica può essere colta considerando necessari i contributi esterni e i cambiamenti anche radicali degli attori oggi presenti. Noi siamo su questa strada, fatta di prodotti di alta qualità in piccola serie, ma come diceva il Professor Burkhardt, se il design pensa alla produzione industriale, in un contesto in cui la realtà industriale è ancora agonizzante, ci troviamo a dover tentare di cogliere la sfida di produzioni non solo di stretto numero, al limite dell'artistico, ma anche di produzioni elevate.
Il Comune di Albisola Superiore vuole puntare su un assistenzialismo pubblico di avvio che oggi, nelle condizioni in cui siamo, diventa una scelta necessaria. Abbiamo un progetto edilizio pubblico di due grandi spazi che sono in corso di realizzazione. In uno di questi spazi potrebbe esserci, con il contributo della Camera di Commercio, la sede di una società consortile aperta ai nostri ceramisti, ma non solo, in cui poter fare ceramica e in cui sviluppare la formazione professionale. L’altro grande edificio pubblico potrebbe rappresentare la vetrina di quello che avviene sul territorio, sapendo che l'identità è la forza della componente culturale di Albisola e che meriterebbe una maggiore visibilità.
Paola Gambaro
Docente Facoltà di Architettura, Genova
Dalla discussione è emersa l'esigenza di fare sistema, perché l'identità del territorio venga valorizzata, ma fare sistema non è facile. Bisogna fare un progetto che sia largamente condiviso, ma in cui ci sia spazio anche per le autonomie. È necessario individuare delle linee forti e, a questo proposito, la Biennale della Ceramica e il Festival della Maiolica potrebbero rappresentare due indirizzi alternativi e convergenti.
Il design è una dimensione innovativa che oggi potrebbe guidare nuovi scenari produttivi, però bisogna stare attenti affinché non sia, come sempre è stato, elitario. La cultura deve raggiungere una dimensione ad ampio spettro che Albisola finora non ha praticato e neanche individuato. Bisogna fare sistema pensando che sul territorio ci sono risorse come l'università e altri centri di ricerca che possono essere raggiunte anche con risorse molto contenute.
Mariano Cerro
Direttore Confartigianato, Savona
Ho colto nel discorso dell'architetto Scacchetti e poi del Professor Burkhardt una questione che mi è sembrata assolutamente centrata, ovvero l'argomento che la crescita collettiva debba essere proprio il punto su cui riflettere. Credo che questa sia la chiave di volta su cui lavorare tutti insieme, per sostenere, rafforzare e guidare questo passaggio, affinché il localismo di Albisola e del Savonese diventi un valore e un marchio dell'identità della nostra ceramica e cessi di essere un limite. Credo che il progetto da costruire, in una logica di crescita collettiva, debba passare anche attraverso gli strumenti che la formazione può fornire. Ci sono dei soggetti che si stanno già dedicando alla formazione, come la Scuola di Ceramica di Albisola Superiore gestita dall'Associazione dei Ceramisti, alcune cose le ha fatte il Liceo Artistico, altre ancora l'università. Tutte queste iniziative messe insieme potrebbero contribuire a una crescita sinergica e collettiva.
Massimo Trogu
Docente del Liceo Artistico “Arturo Martini”, Savona
Conosco quanto è stato fatto negli anni da Roberto Costantino e dal suo gruppo di lavoro ed è un esperimento estremamente importante che è stato proposto all'attenzione del territorio. Ma voglio ricordare che ci sono altri attori che stanno lavorando. Stanno tutti lavorando bene, con coscienza.
Nell'ambito del Liceo Artistico, con l'avvio della riforma cosiddetta Gelmini, abbiamo attivato l'“Orientamento Design”. Ne ho parlato proprio qualche settimana fa con alcuni docenti della Facoltà di Architettura, perché si pone il problema di un agire comune fra i vari enti.
Francois Burkhardt
A proposito del rapporto fra “Orientamento design” e il Liceo Artistico, conosco diversi modelli e uno è Volterra per l'alabastro. Non sapevano più come cavarsela, perché il mercato era praticamente sparito e allora hanno deciso di trasformare il Liceo Artistico in Scuola di Design: è stato un disastro, perché non c'era nessuno che conosceva effettivamente la materia. Nella scuola, purtroppo, manca spesso quella professionalità e conoscenza dei mestieri che è fondamentale. Se non affidate questo compito a professionisti, rovinate il vostro progetto sul nascere.
Niccolò Casiddu
Docente Facoltà di Architettura di Genova
Vorrei riprendere l'esperienza che abbiamo avuto come Università insieme ad Attese, riguardo al "fare sistema". Non c'è stata la paura di sperimentare e di percorrere strade anche eretiche rispetto a quelle che si seguono abitualmente nell'ambito dell'artigianato. Ad esempio, abbiamo provato a realizzare il trasferimento tecnologico e qualcosa di positivo lo abbiamo visto.
Ovviamente è necessario fare sistema, mettere insieme tutte le componenti del territorio e non solo quelle, perché viviamo in un mondo in cui non è possibile far finta di stare in una piccola enclave protetta, senza accorgersi di quello che succede fuori.
Roberto Costantino, fra le altre immagini, ha mostrato anche i risultati del coinvolgimento di centocinquanta studenti della Facoltà di Architettura di Genova che si sono avvicinati al mondo dell'artigianato ceramico, lo hanno sperimentato, lo hanno progettato e lo hanno realizzato. Questo vuol dire formare nuove generazioni di progettisti. Quindi c'è modo di ibridare le competenze e anche di ottenere risultati assolutamente interessanti.
Ernesto Canepa
Presidente Associazione Ceramisti di Albisola
Sono fra quelli che per molti anni ha provato a fare cose diverse dalla ceramica “tradizionale”, ma devo dire che l'unica cosa che siamo riusciti a vendere più facilmente è stata proprio la ceramica tradizionale. Quindi, tutti quanti ci siamo arenati su questo fronte. Comunque abbiamo sempre cercato di fare anche altre cose, ad esempio in collaborazione con gli artisti che sono una parte molto importante delle attività delle botteghe.
Il progetto di far disegnare ai più grandi architetti dei nuovi oggetti in ceramica può essere valido, va bene tutto quello che è stato fatto da Attese, però bisogna anche trovare via alternative per la commercializzazione. I ceramisti lavorano anche dodici ore al giorno, ma non si occupano di quello che è il lavoro d'impresa, non si occupano di far conoscere i prodotti e di commercializzarli. Abbiamo fatto anche le fiere, però è molto difficile avere successo se non c'è un piano di comunicazione e promozione. Oggi la parte che manca è quella promozionale e su questo fronte chiedo aiuto alle istituzioni.
Alberto Alessi
Capisco che un artigiano della vostra tipologia finisca la sua giornata producendo ceramica, ma è altrettanto vero che nella dimensione contemporanea, la distribuzione è una dimensione essenziale che voi non avete il tempo di affrontare. Questo è un problema strutturale. Certo, sarebbe bello avere un organismo super partes, concentrato sugli aspetti commerciali. Ma i giovani? Ci sono giovani appassionati del vostro mestiere?
Ernesto Canepa
Ho insegnato per diversi anni alla Scuola di Ceramica, quando era una scuola professionale finanziata dalla Regione, con i fondi europei. Abbiamo preparato, per alcuni anni, sette o otto persone ogni anno, ma di questi trenta potenziali ceramisti, oggi sono solo quattro o cinque quelli che hanno trovato il modo di operare in Albisola.
Cambiando discorso, vorrei chiedere a Roberto Costantino di accennare anche a quello che si è fatto prima del 2006, con centinaia di artisti che sono venuti da tutto il mondo.
Roberto Costantino
Non mi sono soffermato sul lavoro che abbiamo fatto insieme, in un periodo precedente, perché sarebbe stato fuorviante, anche se interessante, illustrare gli innumerevoli programmi di residenza per artisti che abbiamo realizzato. Si tratta di una serie di esperienze che reputo anch’io straordinarie sia per la qualità degli artisti che abbiamo invitato a lavorare nelle manifatture che per la qualità dei risultati ottenuti, ma oggi abbiamo voluto soffermarci su quanto ha caratterizzato il nostro lavoro più recentemente, ovvero sui contributi che la “cultura del progetto” ha iniziato a dare ad Albisola e che soprattutto potrebbe offrire in futuro.
Il passaggio dai Programmi di residenza per artisti alla cultura del progetto, ci ha messo di fronte a innumerevoli problemi strutturali del comparto, motivo per cui siamo ricorsi anche al trasferimento di tecnologie da altri ambiti produttivi, facendo nostra, ad esempio, la prototipazione rapida. È incredibile la scarsità, qui ad Albisola, di risorse professionali necessarie al ciclo produttivo che, il più delle volte, si dovrebbe avviare con la realizzazione di modelli in gesso e concludersi con il colaggio della terra negli stampi, ma, mancano modellisti, formisti e addetti al colaggio. Tutto gira ancora intorno al tornio.
Tullio Mazzotti
Ceramiche Giuseppe Mazzotti 1903
Albisola ha le potenzialità per uscire da questo momento di crisi, però bisogna passare dalla bottega all'impresa, motivo per cui le aziende devono sviluppare tutta quella parte di lavoro successiva all'uscita della ceramica dal forno, che è la parte commerciale.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Albisola ha vissuto una grande stagione artistica, cosa che è stata un bene dal punto di vista dell'immagine, ma anche un male dal punto di vista delle aziende, perché il valore aggiunto è uscito dalla fabbrica per passare nelle mani di Fontana, Sassu e di tutti gli artisti che sono venuti qui. Oggi una fila di pseudoartisti di bassa qualità frequenta Albisola e sembra che abbia un valore maggiore rispetto al lavoro artigianale. Invece, bisogna che gli artigiani riportino la dignità del lavoro all'interno della fabbrica e che sappiano comunicarla verso l'esterno.