Scenari e prospettive della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea


Roberto Costantino



Contestualizzando questa II edizione della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea in una cornice ampia che comprende le consuete esposizioni internazionali si può notare una prima caratteristica: spesso i progetti curatoriali prendono forma attraverso la combinazione di opere preesistenti e puntano sul consumo spettacolare dell’esposizione, questa Biennale invece si fonda sulla sua produzione. Anche se al momento non è visibile alcuna mostra, la Biennale è in corso nella forma del workshop.
Le caratteristiche preliminari della Biennale sono l’ospitalità offerta agli artisti internazionali e la cooperazione con le manifatture e le scuole del distretto, iniziativa atta a infondere nei giovani il senso di appartenenza a una cultura locale autentica, in un’epoca di “coca-colonizzazione”. L’esposizione, la forma consueta di consumo della Biennale, risulterà la fine di molteplici esperienze, una fine temporanea in attesa della III edizione.
L’esperienza che abbraccia la realtà del lavoro e dei suoi luoghi, mettendoli in relazione con l’arte, è uno dei fili attraverso cui si snoda questa Biennale ed è il punto di raccordo fra due realtà locali, Albisola e Vado. Nel corso del Novecento, l’avanguardia artistica incontra Albisola attraversando le sue manifatture di maiolica. Una situazione per certi versi simile è riscontrabile anche a Vado Ligure, città-fabbrica dove Arturo Martini ha avuto modo di realizzare le sue opere in terracotta grazie alla collaborazione dei lavoratori e delle imprese di refrattari. In questi luoghi per definizione produttivi, hanno potuto prendere corpo opere improduttive, ceramiche o terrecotte d’artista, che esprimono la liberazione dal bisogno.
La promozione della Biennale da parte della Fondazione “A. De Mari” Cassa di Risparmio di Savona, dei Comuni di Savona, Vado Ligure e delle Albisole, permette di evidenziare la convergenza di due spinte che condividono lo stesso obiettivo: la critica delle condizioni materiali dell’esistenza veicolata dall’arte negli anni ’50, la stagione eroica di questo distretto. Ad Albisola Asger Jorn si fa portavoce di quella critica radicale dell’arte scambiata in forma di merce che trova il suo fondamento nella critica generalizzata della società fondata sul lavoro condotta dall’Internazionale Situazionista (aldilà delle letture edulcorate, Jorn rappresenta uno dei più radicali avversari dell’arte moderna e dei suoi valori dominanti). A Vado, invece, sulla scia di Arturo Martini l’egemonia della classe operaia e dei suoi valori porterà alla costituzione del Premio Vado dedicato al mondo del lavoro (un premio che questa edizione della Biennale prevede di riprendere intitolandolo anche ad Arturo Martini). Il Premio Vado è il frutto di un’altra schiera di avversari dell’arte moderna che trova la sua origine negli editoriali scritti su Rinascita da Roderigo de Castiglia alias Palmiro Togliatti, che si adopererà per rifiutare l’arte d’avanguardia, in quanto fenomeno borghese lontano dalle masse.
Una parte significativa di questa Biennale è dedicata alla ricognizione delle esperienze di Arturo Martini a Vado e di Asger Jorn ad Albisola. Sono infatti previsti l’esposizione delle piccole ceramiche di Arturo Martini nella Villa Groppallo di Vado Ligure e una serie di studi, praticamente inediti, sulla casa di Jorn ai Brucciati, architettura straordinaria, costruita con ciò che è fuoriuscito dal ciclo produttivo, su cui finora esiste una sola testimonianza, un raro testo di Guy Debord, scritto nel 1972 ad Albisola e pubblicato in una rarissima edizione d’arte dei Fratelli Pozzo di Torino.
A partire da queste memorie storiche, la Biennale riconduce l’arte nelle manifatture. Come per opporsi ai valori dominanti, la dirotta in un luogo in cui la sua contemporaneità stessa è messa in discussione dalla tradizione locale della ceramica. Il fondamento della Biennale sta nella cooperazione fra l’artista e l’artigiano. Questa relazione permette anche di riattualizzare la tradizione della ceramica, affinché non cada nel folclore.
Il legame fra l’artista e la manifattura ci porterà a documentare il backstage delle opere d’arte prodotte in ceramica attraverso la presentazione, nel catalogo della Biennale, dei progetti inviati dagli artisti e delle foto che documentano le varie fasi di realizzazione delle opere, in un’ottica di valorizzazione della cultura progettuale.
Raccordare l’opera d’arte alla dimensione del lavoro non è una sfida da poco: basti pensare che l’opera con cui si suole inaugurare l’arte moderna è il readymade di Marcel Duchamp. Si tratta della prima opera concettuale, dimostrazione evidente di quanto la realtà del lavoro sia rimossa dalle consuete letture dell’arte contemporanea. Far passare l’arte attraverso la ceramica permette invece di gettare uno sguardo rovesciato, di vedere l’orinatoio di Duchamp come un prodotto del lavoro di cui l’arte si appropria, un oggetto che il caso vuole sia anche in ceramica.
L’ancorarsi dell’arte ai luoghi di lavoro è l’humus su cui si fonda la Biennale, è la storia da rileggere in funzione del presente. Questa iniziativa però vuole essere soprattutto un coltello affondato nel futuro, per dirla con il sociologo Bauman. Per fare i conti con il futuro, la Biennale riterritorializza l’arte, la riconduce a questi luoghi, per rielaborare la loro realtà in uno spazio glocale di flussi e connessioni fra culture.
Poiché questa Biennale è giocata sul dirottamento delle identità e dei segni, può tornare utile quel concetto di détournement elaborato dai membri dell’Internazionale Situazionista. L’ingresso delle avanguardie nelle fabbriche è stato una forma di dirottamento/détournement delle manifatture. A questo “deturnamento” corrisponde nella Biennale lo stesso dirottamento degli artisti invitati a confrontarsi con un materiale e una storia che per loro sono inconsueti, essendo la ceramica da tempo latitante dalle grandi kermesse internazionali. Ma anche lo stesso progetto è stato sottoposto a una sorta di détournement, tramite la costituzione di un team di curatori di prestigio internazionale che ha provveduto a portare la Biennale qua e là in maniera imprevedibile.
Partiamo consapevoli della rarità che la ceramica rappresenta nel panorama internazionale e dei valori, che in alternativa, può esprimere. L’obiettivo è di fare di questo distretto artistico e imprenditoriale, un punto di convergenza di capitali culturali e sociali a partire dalla connessione fra culture e dalla sinergia fra enti territoriali e imprese che si rende sempre più necessaria in un’ottica di programmazione dello sviluppo culturale, economico e sociale di questo territorio.
Non sarebbe possibile realizzare una Biennale come questa, che vuole essere glocale, senza gli attuali mezzi di comunicazione e la compressione spazio-temporale offertaci da Internet. La ceramica oggi è un patrimonio carico di valori etici e morali, ma non è sufficiente da sola a dare vita a una Biennale. Per dirla con Young Chul Lee, abbiamo a disposizione Internet e la terracotta. Sono questi gli strumenti di cui disponiamo per affondare il coltello in un futuro che renda giustizia sia all’arte che al lavoro.



Estratto dagli Atti del Convegno “La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea”, 19/20 ottobre 2002, Fortezza del Priamàr, Savona.



Atti del Convegno La tradizione locale della ceramica e la globalizzazione dell’arte contemporanea